11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 19 aprile 2013

1915


Howe e Be’Wahr erano presenti, accanto a Midda Bontor, il giorno in cui ella aveva affrontato primo-fra-tre, creatura oscena e forse immortale presentatasi qual vicario di un’oscura e potente signora.
Howe e Be’Wahr, nella fattispecie, erano stati gli unici mortali, oltre alla stessa Figlia di  Marr’Mahew, ad aver mai veduto, e sfidato, un vicario, sopravvivendo a tale confronto per poterlo raccontare, per poterne riportare voce e testimonianza. Una definizione apparentemente arrogante, quella in tal modo scandita, in simili termini definita, e che pur non avrebbe dovuto essere considerata conseguente a semplice supponenza, derivante da un qualche, banale e deprecabile egocentrismo, tale da spingerli a ritenere veritiera tale asserzione semplicemente nel confronto con il letale potenziale espresso da una tanto pericolosa controparte; quanto e piuttosto conseguente alla semplice evidenza dei fatti. Evidenza, nel dettaglio, sottolineata dall’assenza di una qualsivoglia altra testimonianza, storica o meno, della mera esistenza di un tale mostro, di una simile creatura e, razionalmente, di altre due a lui probabilmente pari, a giustificazione del nome con il quale egli… esso aveva voluto definire se stesso.
Se, infatti, molti, addirittura troppi, avrebbero dovuto essere considerati quegli orrori notoriamente promossi in misura tale da negare a chiunque qualunque pur vaga speranza di sopravvivenza nel semplice e causale incontro con gli stessi; allo stesso modo razionalmente incomprensibile, fondamentalmente illogico, avrebbe avuto a considerarsi una simile affermazione, laddove, venendo a mancare testimoni, non soltanto improbabile, ma addirittura impossibile avrebbe dovuto essere riconosciuta qualunque espressione di merito a riguardo delle loro stesse esistenze, al pari, persino, di semplici illazioni. La presenza, all’interno del mito, delle leggende, di determinati mostri, di talune creature, per quanto terribili e terrificanti esse avrebbero avuto ragione di considerarsi, avrebbe dovuto quindi essere riconosciuta qual la più ovvia evidenza di quanto, comunque, avesse a riconoscersi esistente una possibilità, una speranza di sopravvivenza alle loro offensive, ai loro attacchi, alle loro aggressioni, così come, pur, era stato forse e da sempre fondamentalmente negata esistere possibilità alcuna.
Che a primo-fra-tre potesse essere speranza di sopravvivenza, pertanto, avrebbe dovuto essere riconosciuto merito proprio a Midda Bontor e ai suoi due compagni di ventura, Howe e Be’Wahr, i quali, da un tanto improbabile scontro erano riusciti a uscire se non vittoriosi, quantomeno non sconfitti. Che a un nuovo incontro con primo-fra-tre potesse essere loro concessa nuova occasione di sopravvivenza, tuttavia, non avrebbe dovuto essere considerata banale e sottintesa conseguenza del primo risultato ottenuto, dal momento in cui, obiettivamente, alcuno fra i tre sarebbe stato tanto arrogante, e folle, da dare per scontata, per ovvia, una simile, e tanto labile, effimera, incerta eventualità.
Particolarmente vivida, era nei loro ricordi, nelle loro memorie, l’immagine del devastante potere espresso da parte di quella creatura, di quell’essere incorporeo ma, non per questo, innocuo, un potere tale da poter negare persino l’integrità del tessuto stesso dell’esistenza, sfaldandolo nella propria più intima, e fondamentale, natura. Un potere innanzi al quale, apparentemente, soltanto la Campionessa di Kriarya aveva avuto possibilità di sopravvivenza, uscendo illesa dal un contrasto nel quale, forse, persino un dio, o un semidio, avrebbe avuto ragione di temere per il proprio destino, per il proprio futuro. Spiacevolmente, e in maniera insolitamente originale, tale straordinario successo, simile incredibile occasione, non era stata ella concessa in sola conseguenza alla propria incredibile forza di volontà, alla propria stupefacente autodeterminazione, risultando, altresì, giustificata da un inatteso e, almeno in un primo momento, incomprensibile legame necessariamente esistente fra la donna e la signora a cui il vicario aveva giurato la propria eterna fiducia, il proprio imprescindibile servizio, in misura tale da considerarla parte della sua stessa famiglia. Un’informazione non così retorica, non così priva di significato, almeno nel confronto con l’unico legame che, all’epoca di quei fatti, di quegli eventi, l’aveva contraddistinta, l’aveva caratterizzata, seppur non conseguente all’effettivo desiderio di vincolarsi al soggetto in questione innanzi agli dei tutti: il proprio matrimonio con il semidio Desmair, figlio del dio Kah e della leggendaria regina Anmel Mal Toise che, in una remota epoca ormai dimenticata, aveva dominato su ampia parte del mondo conosciuto. Ove, però, quel legame avrebbe avuto a considerasi per lei occasione di salvacondotto innanzi alla disarmante violenza propria di quel mostro, con primo-fra-tre, non una così amplia gamma di possibilità avrebbe dovuto essere ritenuta associata all’identità della sua signora, identificandola, obbligatoriamente, con quella defunta regina, la cui negativa influenza, purtroppo, non sembrava essere morta insieme a lei.
Dal momento in cui, fortunatamente o purtroppo, ormai persino lo stesso Desmair era trapassato, sospinto violentemente a varcare i confini del regno dei morti per mano del suo stesso padre, contro di lui scatenato per soddisfare la brama di vendetta cresciuta nel cuore di sua madre innanzi all’evidenza di quanto questi stesse collaborando al fine di permettere alla propria sposa di sconfiggerla, di esiliarla, ancora una volta, da ogni contatto con il mondo dei vivi; difficile sarebbe stato ipotizzare se per colei che ne era divenuta vedova avrebbe potuto ancora valere quella tanto apprezzabile immunità, che già una volta le aveva reso possibile continuare a sperare nell’indomani. Un dubbio, un dilemma, nel confronto con il quale, oggettivamente, ella avrebbe preferito non ritrovarsi nuovamente posta e che pur, per primi, furono gli stessi Howe e Be’Wahr, suoi compagni di ventura in quel precedente, primo e ancora unico scontro, a riservarsi spiacevole evidenza di ineluttabile, obbligata prossima prova, nel confronto diretto con l’orrore che lì sorprese, e con loro sorprese l’intera Licsia, sovrastandoli dall’alto dei cieli, al termine di quella serena giornata ormai volta all’imbrunire…

« Ascoltatemi, mortali. » tuonò una voce priva di ogni possibilità di definizione di genere o di età, a metà fra il maschile e il femminile, il giovane e il vecchio, quasi come se qualunque di tali attributi avesse a considerasi superfluo nel proprio confronto « Io sono primo-fra-tre, vicario dell’Oscura Mietitrice sin da prima che l’inutile suolo che definite isola affiorasse dalle acque di questo mare e sin da prima che lo stesso mare che vi circonda, e che tanto rispettate e adorate, potesse essere generato dalle primordiali piogge che l’origine della vostra insulsa specie ha garantito. »

Ad accompagnare quelle parole, in un fenomeno che non avrebbe mai potuto sorprendere alcuno fra i tre che già a esso erano stati esposti, dei suoi effetti erano già stati involontari spettatori, ma che non poté evitare di disorientare tutti gli altri, ogni uomo o donna o animale lì presenti; fu una progressiva mutazione del cielo sopra Licsia, tale da tradurre il rossore caratteristico dell’approssimarsi della sera, del tramonto, con una colorazione giallo-verdastra, che tutto sembrò avvolgere e ricoprire quasi come se il mondo stesse improvvisamente venendo osservato attraverso un vetro o una stoffa di simile tonalità, o, forse, una nebbia, per quanto difficilmente tutto quello avrebbe avuto a considerarsi simile a nebbia o a qualunque altro comune evento meteorologico. Una nebbia non nebbia, pertanto, che, di lì a breve, ebbe a considerarsi giustificata nell’insorgere di un’ulteriore immagine, quella di una specie di vortice nel quale tutto sembrò per un istante annichilirsi, salvo, subito dopo, dimostrarsi originato: un vortice al centro del quale iniziò a concentrarsi, a condensarsi e ingrandirsi, una strana energia, una piccola, esile stella che, ben presto, acquistò la forza, la luminosa violenza di un sole, spazzando via ogni impressione fumosa, dissipando ogni velato disturbo visivo, nell’accecare inizialmente chiunque, in tal direzione, tentò di rivolgere il proprio sguardo, ma, presto, dimostrando al proprio fulcro, nel proprio cuore, un volto… il volto di primo-fra-tre.

« Io sono primo-fra-tre… » ripeté, troneggiando nel cielo sopra l’isola e, nella propria inquietante luce giallo-verdastra, negando persino l’esistenza del sole, più distante, verso l’orizzonte a ponente « … e vi reco un lieto annunzio. » proclamò, nel mentre in cui, sotto un prominente naso, un’amplia bocca si aprì, palesando sporchi denti incredibilmente perfetti in un sorriso non semplicemente inquietante quanto, addirittura, osceno, nell’orrida sentenza di morte che tanto apertamente lo accompagnava « La pena impietosa che siete soliti chiamare vita, quest’oggi, prima che la notte sorga, cesserà finalmente di offrirvi tedio, nella serenità perenne che soltanto in gloria a colei che servo vi potrà essere garantita! »


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