11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 7 aprile 2008

088


A
v’Fahr, fra le proprie braccia, non stringeva unicamente una sorella: egli tentava di trattenere, disperato, tutta la propria intera esistenza.
Ja’Nihr era l’unica madre che avesse mai amato e l’unico padre che si fosse mai preso cura di lui: loro padre era rimasto ucciso in un incidente di caccia ancor prima della sua stessa nascita, loro madre era morta dandolo alla luce come non raramente accadeva nelle terre da cui essi provenivano. Sua sorella, l’unica famiglia che pertanto egli avesse mai avuto la possibilità di conoscere, nonostante avesse all’epoca solo poco più di due anni, era maturata rapidamente, cresciuta in fretta per potersi prendere cura di lui: ella aveva rinunciato alla propria infanzia, alla propria innocenza per assumersi un onere più grande di sé, un fardello maggiore di quanto chiunque altro, con più anni, con più esperienza, con più possibilità, non avrebbe potuto, non avrebbe voluto accogliere. Egli era cresciuto grazie alle di lei cure, alle di lei premure: per badare al fratello minore ella aveva abbracciato l’eredità del padre, diventando a sua volta una cacciatrice, costretta dal destino a non poter essere nulla di meno che la migliore. Se Av’Fahr, da bambino, era stato nutrito, se aveva potuto aver la possibilità di crescere e diventare l’uomo che era diventato, egli lo doveva solo a lei, a colei che ancora infante aveva appreso l’arte della ricerca delle tracce di ogni preda o predatore, dell’inseguimento di ogni bestia per aria, terra o acqua, dell’uccisione di qualsiasi animale diverso dall’uomo le si fosse parato davanti. Il suo stesso fisico muscoloso e scultoreo era un dono della sorella che quotidianamente lo aveva allenato per renderlo il più forte di tutti, il più grande di sempre: il mondo non era stato loro amico, il fato non aveva loro arriso, ma essi, grazie alla meravigliosa unicità rappresentata da ella, erano riusciti a sopravvivere, a crescere, ad imporsi su ogni dove. A Ja’Nihr egli non doveva solo il proprio corpo forte e saldo, ma anche la propria mente ed i valori in essa inculcati: grazie ai di lei insegnamenti non aveva mai sentito la mancanza dei propri genitori, non aveva mai sentito l’assenza di un padre o di una madre, ritrovando in lei la propria energia ed i propri principi, apprendendo da lei il desiderio di vivere e di lottare per vivere.
Av’Fahr non poteva accettare quella realtà: egli non poteva accettare che, fra le sue braccia, giacesse il corpo senza vita della sorella tanto amata, di colei per cui sola tutta la sua vita aveva mai avuto un senso ed un valore. Uccisa… uccisa a tradimento: impossibile crederlo, impossibile accettare che colei che era in grado di tenere testa ai più grandi e feroci leoni, alle cariche inarrestabili dei rinoceronti, alla forza incomparabile dei coccodrilli, potesse essere caduta in maniera tanto abbietta, colpita da un avversario del tutto privo d’onore che, però, era riuscito a coglierla di sorpresa, alle spalle, trapassandole il petto con una lunga ed affilata spada. Una delle armi di Ron-Hun.

« Tu! » ruggì di rabbia il colosso, nel rialzarsi di colpo e gettarsi con impeto verso il compagno mezzosangue, sollevandolo con forza da terra e sbattendolo contro il soffitto con una mano attorno al collo ed una al petto « Perché? Lei si fidava di te! »

L’ira di Av’Fahr era umanamente comprensibile, ma la di lui potenza incontrollata ed estremizzata da tanta rabbia stava già uccidendo il compagno totalmente inerme di fronte a lui: Midda, con la morte nel cuore per l’orrore della tragedia davanti ai loro occhi, non poté permettere al gigante d’ebano di commettere una sciocchezza di cui non si sarebbe mai dato pace qualora avesse ritrovato il senno, a cui non avrebbe potuto sopravvivere per la vergogna ed il disonore se ella non l’avesse fermato. Così, la donna guerriera, sola fra tutti i membri dell’equipaggio esterrefatti per l’accaduto e totalmente spiazzati dalla reazione del compagno, scattò rapida contro di egli, lasciandosi scivolare a terra dietro di lui in un rapido movimento attraverso le stesse gambe dell’uomo per poi colpirle utilizzando i propri talloni con forza controllata, mirando appena dietro le di lui ginocchia: conseguenza di tale atto, inatteso ed imprevedibile, fu la ricaduta dell’uomo a terra e la perdita della presa di egli sul compagno ormai tramortito. Rapida la mercenaria, ancora a terra e poco sopra il capo di Av’Fahr, richiuse le proprie forti gambe attorno al suo collo, incrociandole in una salda presa, ed afferrò entrambe le braccia di lui prima che avesse la possibilità di reagire, tirandole a sé in una morsa di blocco tecnicamente perfetta.

« Che Gah’Ad ti maledica! » sbraitò violentemente il colosso, cercando di liberarsi da lei nel contrarre ogni singolo muscolo del proprio corpo al punto tale che le sue membra parvero voler esplodere sotto la pelle « Lasciami, cagna! Lasciami vendicare mia sorella! »
« Calmati, Av’Fahr… per Thyres… calmati! » cercò di invitarlo ella, riuscendo però ad emettere solo un lieve sussurro nel tentativo disumano di trattenere quel gigante a terra, almeno nel tempo necessario agli altri di soccorrere Ron-Hun e portarlo lontano dal colosso « Egli non ha colpa per la morte di Ja’Nihr! »
« La sua spada… la sua spada l’ha uccisa! » gridò con ferocia, pur quasi strozzato dalla presa al collo delle forti gambe di lei « Lasciami vendicarla… era anche tu amica! »
« Ron-Hun era con noi sul ponte… ed è stato per tutta la notte di sentinella sull’albero maestro! » tentò di rispondere ella, serrando ulteriormente le proprie cosce attorno al di lui collo « Possiamo testimoniarlo tutti! TUTTI! »

Ma la collera dominava completamente la mente dell’uomo in quel momento, non permettendogli di udire le parole a lui rivolte, non permettendogli di ascoltare una possibilità di innocenza per colui che aveva deciso essere l’assassino di sua sorella, il colpevole della fine della sua stessa vita. Solo il sangue avrebbe potuto placare la sua sete, il vuoto che nel suo corpo era stato creato dal freddo della pelle di Ja’Nihr, di quelle forme sempre calde ed accoglienti per lui quando fin da bambino in lei cercava rifugio contro ogni bruttura dell’esistenza. Non vi sarebbe stata più una parola di conforto dalle di lei labbra, non vi sarebbe stata più una carezza di tenerezza dalle di lei mani: ella era morta… e l’universo intero aveva perso di significato in quella innaturale ed immotivata conclusione della di lei vita.
Ma Midda, fortunatamente per tutto l’equipaggio della Jol’Ange, non era una sprovveduta: per quanto difficile fu contrastare la forza del gigante nero, per quanto i di lui muscoli fossero già solo nelle braccia più grandi dell’intero addome di lei, la donna guerriero riuscì a mantenere la propria posizione, riducendo gradualmente la possibilità di respirazione per l’uomo e conducendolo, in conseguenza, a perdere irrimediabilmente i sensi.

« Ja…Ni... » tentò di sussurrare Av’Fahr, in ultimo barlume di coscienza, invocando con le lacrime agli occhi il nome della sorella nella propria più completa disperazione.

Solo a quel punto, quando sentì i muscoli dell’uomo finalmente rilassarsi, la mercenaria allentò la propria presa nel desiderio di non offrirgli danni irreparabili: lentamente rilasciò la presa attorno al collo di lui, per prima, ad assicurarsi che fosse realmente svenuto, liberando successivamente anche le braccia per lasciarsi rotolare di lato e porsi a sedere accanto a lui, a riprendere fiato.

« Spero che al tuo risveglio potrai perdonami, grand’uomo. » gli disse ella, sottovoce, accarezzandogli appena il viso con una mano « L’ho fatto per il tuo bene… »

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caspita!^__^
Chissà come la prenderà al risveglio...

Sean MacMalcom ha detto...

Povero Av'Fahr... ha tutta la mia comprensione! =.=