11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 15 aprile 2008

096


R
espirando a fondo, ad isolarsi dal mondo a lei circostante, dalla tempesta che senza tregua infuriava attorno a loro, Midda sollevò le braccia per liberarsi il viso dai capelli appiccicati ad esso, tirandoli ordinatamente tutti verso l’indietro: l’acqua e la salsedine che li impregnavano erano tali che essi si compattarono immediatamente sulla nuca e contro il collo, quasi fossero cosparsi d’olio o di grasso. In quel modo la cicatrice sembrò risaltare più del solito sul di lei volto, solcandolo, squarciandolo di netto in verticale sull’occhio sinistro, ed il di lei sguardo, ignaro della pioggia o del vento, delle onde o del sale, si presentò fisso e determinato, rilucente nel colore di ghiaccio delle iridi. Impugnando con saldezza una pietra viola nella mano sinistra, libera dalla spada perduta negli abissi del mare, ella sciolse il proprio legame di canapa con l’albero maestro della Jol’Ange, per essere libera di poter agire, di poter combattere, di poter uccidere. Ed armata unicamente del proprio braccio destro, del metallo nero privato dei soliti riflessi rossastri a causa dell’incrostatura offerta dall’acqua del mare, ella avanzò attraverso la soglia oscura che si offriva sulla stiva della nave, per affrontare il proprio destino.
La luce violacea emessa in maniera naturale dalla pietra, offriva allo sguardo della donna la possibilità di spaziare sull’intera scalinata e sul breve corridoio al suo termine, quel corridoio in cui Ja’Nihr aveva trovato la morte e dal quale si poteva accedere alle tre cabine, all’armeria ed alla stiva vera e propria. I sensi della donna impegnarono tutta la sua esperienza guerriera al fine di apprendere ogni minimo, per quanto confusionario, suono della tempesta e della nave, per poterlo riconoscere ed isolare acusticamente, per poterle permettere di individuare la presenza di un nemico nei di lui movimenti come non si era dimostrata in grado di compiere fino ad allora. Certamente se lo spettro si fosse dimostrato veramente tale, alcun impegno al fine di riconoscerlo sarebbe stato utile: in effetti ella non aveva neanche preso in considerazione la possibilità di ritrovarsi ad affrontare un nemico immortale, oltre le proprie capacità, ma tale scelta non era stata in conseguenza di una sottovalutazione dell’avversario. La mercenaria aveva assistito in prima persona all’assassinio di Salge e, per quanto il di egli aggressore non offrisse alcuna caratteristica inequivocabilmente umana e mortale, ella lo aveva visto maneggiare un pugnale: sommando a tale particolare le modalità dell’uccisione della cacciatrice dalla pelle d’ebano, sempre attraverso una lama, ella non poteva evitare di giungere alla conclusione che, di qualsiasi natura il nemico fosse, esso fosse dotato di una consistenza materiale. E tale corpo, se tale si fosse potuto definire, sarebbe stata la sua condanna a morte.
Concentrata e fredda nella mente, nel cuore, nell’animo e nel corpo, la donna mosse i propri passi con decisione ma delicatezza, cercando completo controllo sull’ambiente attorno a sé in quel lento avanzare: non aveva fretta, non aveva premura di giungere allo scontro. Se così fosse stato, ella avrebbe offerto un nuovo vantaggio all’avversario, avrebbe commesso l’ennesimo errore e da quando era salita a bordo di quella goletta, forse influenzata dai ricordi di una vita che non le apparteneva più, già troppi sbagli si era concessa, mancanze per cui altri avevano pagato pegno.
Le prime due porte a lei offerte, una di fronte all’altra, erano quelle delle cabine minori: mosse caoticamente dall’ondeggiare stesso della nave, prive di controllo e di blocco, tali usci sbattevano in modo aritmico contro i propri infissi. Quelle due stanze rappresentavano un primo pericolo per lei, dato che l’ignoto avversario si sarebbe potuto celare in esse ed avrebbe così potuto approfittare del di lei movimento per aggredirla alle spalle. Giunta qual era a quel punto, ella dovette pertanto a dover compiere una scelta dalla quale sarebbe potenzialmente derivato l’intero svolgimento del combattimento contro il proprio nemico, dalla quale avrebbe potuto dipendere la di lei vita e la di lei morte: come sempre la di lei mente iniziò ad analizzare le possibilità alternative a lei offerte, a cercare di individuare la migliore strategia che avrebbe potuto seguire. Era ovvio, infatti, che non avrebbe mai potuto affrontare quella sfida a cuor leggero. Quella volta non poteva concedersi battute, non avrebbe perso tempo e concentrazione nel canzonare il proprio avversario: contro un sicario o contro uno spettro, contro un messo divino o contro chiunque esso fosse, ella avrebbe impegnato ogni proprio pensiero, ogni proprio respiro, ogni proprio movimento.
Dopo una rapida riflessione, pertanto, la donna decise di arrischiarsi in un gioco estremamente azzardato, che le avrebbe richiesto il massimo delle proprie capacità, il massimo della propria bravura guerriera: ella appoggiò quindi a terra la propria pietra viola, delicatamente, per poi iniziare ad avanzare lentamente attraverso il breve corridoio, ignorando non solo le porte delle due cabine minori, ma anche quella della cabina del capitano e dell’armeria, per dirigersi direttamente verso la stiva. La luce della pietra le avrebbe potenzialmente concesso il dono della vista all’interno di quelle tenebre, ma avrebbe sicuramente offerto anche lo svantaggio di essere individuata con facilità nelle medesime: un sfavore che ella non poteva permettersi di subire nel confronto con un avversario temibile come quello che avrebbe affrontato e che, probabilmente, avrebbe trovato modo per annullare la di lei possibilità di vederlo, azzerando l’utilità offerta dalla pietra. Per tale ragione, a quel punto, ella decise che era meglio procedere nell’abbraccio dell’oscurità, non ricercando vantaggi per se stessa e non donandone al proprio nemico.
L’oscurità della stiva, così, le venne offerta nella propria assoluta pienezza. Mantenere gli occhi aperti o chiuderli, in quel momento, non avrebbe rappresentato alcuna differenza alla di lei percezione dell’ambiente e, pertanto, al fine di concentrare maggiormente l’attenzione della propria mente sui quattro sensi, normalmente trascurati dalla maggior parte delle persone, scelse di serrare le palpebre: si sarebbe affidata unicamente all’udito, all’olfatto, al gusto ed al tatto, come solo un vero guerriero avrebbe saputo fare, come solo chi nato per combattere ed uccidere sarebbe riuscito a compiere per la propria salvezza. Ed in quella condizione, paradossalmente, l’incredibile ed assordante frastuono del mondo attorno a lei sembrò volgere a proprio vantaggio: le vibrazioni sonore, diffondendosi dalle pareti della nave all’interno di tutta la stiva, rimbalzarono in un modo che inizialmente parve caotico, disorientante, impossibile da seguire, ma che subito dopo si trasformò in una melodia ritmica, in un’armonia costante che delineò nella di lei mente una topografia chiara dell’ambiente a lei circostante.
Ella poté quindi osservare, attraverso l’udito ed il tatto, la vasta stiva della nave, ricca di casse saldamente ancorate in grandi intrecci di corde utili a mantenerle bloccate sulle pareti esterne, equilibrandone il peso correttamente da un lato e dall’altro dell’imbarcazione. Ella poté percepire chiaramente il suono rifrangersi nello stretto corridoio creato dallo stesso carico della Jol’Ange, delineando un passaggio obbligato per chiunque, un cammino sopra il quale il pericolo sarebbe potuto piombare in un qualsiasi momento: lei, al posto del proprio avversario, avrebbe infatti atteso il proprio arrivo celandosi sopra quelle casse, aggrappandosi alle reti di canapa per potersi gettare contro al nemico nel momento migliore, come un predatore appostato pazientemente nell’aspettativa della propria vittima, del proprio pasto.
Conscia di quella situazione, consapevole dell’ambiente attorno a sé, cosciente delle proprie capacità e dei propri limiti, ella decise allora di attaccare per non essere attaccata e cercando di mantenere il silenzio a cui si era affidata fino a quell’istante, cercando di mischiare il proprio stesso respiro al ritmo delle onde e della burrasca attorno alla nave, ella afferrò saldamente una delle maglie della prima rete alla sua destra ed iniziò ad arrampicarsi su di essa.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

ogni tanto passo, anche se difficilmente trovo il tempo per leggere il tutto... prima o poi lo troverò e troverò il tutto qui ad aspettarmi, comunque... ;)
Simone

Sean MacMalcom ha detto...

Apprezzo tantissimo il tuo interesse! :)

Grazie di cuore!!

Anonimo ha detto...

Epperò, Midda dà dei punti anche a Matt Murdock, in fatto di udito! ;)

Però, con lo spoiler che mi hai fatto su Noal, mi hai messo ancora più in ansia... non sarà mica che Midda finisce in mare e deve arrivare a nuoto alla costa? No, perchè hai scritto che lei non saprà mai da Noal per quale motivo lui l'abbia ascoltata...

inis fail ha detto...

Sai, è da tanto che te lo volevo chiedere ed ora te lo chiedo. Una domanda sulla tua scelta stilistica: perché utilizzi sempre la forma "il di lei" o "il di lui" per riferirti ai personaggi? Come mai questa scelta stilistica? :-)

Sean MacMalcom ha detto...

@Coubert:

In effetti stavo pensando più a "Furia Cieca" e ad altri film del genere, ma ammetto che il confronto con Daredevil appare immediato! :D
Ovviamente Midda non è dotata di un radar come lui... :P
In fondo se noi comuni mortali siamo in grado di risvegliarci nel cuore della notte ed arrivare in bagno o in cucina al buio senza fracassare nulla, figuriamoci di cosa può essere in grado una guerriera esperta come lei! :D

@Inis:

Ciao! :D Che piacere sentirti!
Il "di lei" e "di lui" (di cui sono stato spesso e giustamente rimproverato per un abuso, soprattutto nei primi episodi) non nasce come scelta stilistica o altro, ma sorge in maniera spontanea nel momento in cui scrivere "suo", soprattutto in una scena di combattimento o comunque abbastanza incasinata, risulterebbe poco chiaro.
Sicuramente un autore vero (ed io non mi reputo tale) non avrebbe simili problemi... :)

Anonimo ha detto...

Comunque, in effetti, il Murdok è stato il primo paragone che è venuto anche a me!

Sean MacMalcom ha detto...

@Palakin:

Questa accade perché siete un branco di nerd da più tempo di me! :))))
Io sono cresciuto con "Furia Cieca" prima ancora di scoprire "Daredevil"!! :D