11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 19 luglio 2008

191


C
ome inseguiti da un branco di demoniaci lupi, le guardie del contingente di scorta si imposero una marcia continuativa per oltre dodici ore, ad un ritmo a dir poco forzato, prima di concedersi una breve pausa. Tale momento di riposo, nell’arrestare i passi simili a quelli di una corsa su un terreno sempre meno pianeggiante, non fu cercato di certo per offrire sollievo alla stremata prigioniera, quanto a se stessi, laddove acqua e nutrimento dovevano essere reintegrati all’interno di corpi provati dal compimento di un simile percorso.
Alla Figlia di Marr’Mahew, la cui pelle aveva iniziato a sanguinare ormai solcata qual era dal metallo delle proprie catene, di quell’ammasso di ferro ed acciaio che gravava sulle di lei forme, sulle di lei spalle, ai di lei fianchi, alle di lei gambe, schiacciandola inesorabilmente a terra come sotto l’azione di un gigante, non fu offerto alcun nutrimento questa volta, donandole appena la possibilità di un sorso d’acqua, poche gocce che a malapena riuscirono a giungere fino alla di lei gola, venendo assorbite prima dalla bocca inaridita. Nonostante tutto questo, nonostante il disprezzo che inesorabile veniva a lei offerto, ella non poteva e non voleva riconoscere colpa ai propri carcerieri per un simile pregiudizio, per tanto disprezzo nei di lei confronti: per ciò che ad ognuno di quegli uomini e di quelle donne era dato di sapere, per quanto limitata fosse la visione della realtà offerta ad essi, quello di cui l’accusavano era più che meritevole di una simile reazione. Naturalmente, come ogni pregiudizio, anche quello sarebbe potuto essere posto facilmente in crisi ideologica nel concedersi un momento di riflessione, in un istante di analisi dei fatti certi piuttosto che di semplici accuse: perché tutte le tremende imputazioni di pirateria a lei imputate, la feroce creatura da esse tratteggiata, male si rapportavano con l’autocontrollo dimostrato in ognuno dei loro scontri, con l’assenza di sangue e di morte lasciata alle proprie spalle in ogni arresto o in ogni evasione, anche quando le sarebbe stato forse più facile colpire per uccidere che, semplicemente, per disarmare e porre temporaneamente fuori dal gioco. Ma i pregiudizi risultavano tali proprio perché non accettavano di essere messi in discussione ed, in quel momento, intenzione della mercenaria era giungere a destinazione e non cercare di riabilitare il proprio nome, cercare di farsi rispettare da quegli sguardi carichi solo di astio se non di odio.

« Che hai da guardarmi, cagna?! » scattò improvvisamente una donna, una guardia, nell’alzarsi e nel dirigersi verso Midda, piegata a terra e smarrita nei propri pensieri, per poi colpirla con un violento calcio al viso.

La mercenaria incassò il colpo con un lieve gemito, sputando sangue a terra e cercando, nella stanchezza e nel dolore, di non perdere i sensi. Forse, per quanto stremata, avrebbe potuto ancora reagire contro la propria inattesa avversaria, contro quella sciocca che senza alcuna ragione si era levata verso di lei cercando evidentemente rissa, in un silenzioso supporto da parte di ogni proprio compagno: ma rialzarsi da terra, in quel momento, avrebbe di certo significato dichiarare guerra a tutte quelle guardie che, al di là degli ordini ricevuti, avrebbero potuto decidere di ucciderla senza troppe remore, giustificandosi poi con l’addurre ad ella stessa ogni responsabilità di quanto accaduto, in un ipotetico tentativo di rivolta, di evasione, di fuga.

Prima ancora che, però, alla guardia fosse offerta la possibilità di ritentare un nuovo attacco, una voce intervenne nella scena, tuonando un ordine vigoroso e privo di possibilità di replica: « Fermi! »

Il maggiore Andear Onej’A, eretto e fiero sul proprio cavallo, nel notare movimenti sospetti fra le fila dei propri uomini aveva rapidamente attraversato l’intero contingente per giungere fino al luogo della rissa o, per meglio dire, del pestaggio, portandosi poi senza troppe premure nei confronti di nessuno fra le due contendenti con l’intera massa dell’animale dal manto castano.
Egli si offriva allo sguardo come un uomo di statura bassa e robusta, tanto che, posto accanto a Midda, con il proprio sguardo sarebbe arrivato a malapena all’altezza dei di lei seni, pur dimostrando una muscolatura, un fisico tale da rendere anche solo la circonferenza di un suo braccio maggiore di quella dei di lei non esili fianchi: tali attributi, che la mercenaria in quelle ore aveva avuto modo di studiare a lungo al di là del superficiale sguardo inizialmente offertogli, insieme ai capelli raccolti in una stretta e corta treccia ed ai folti baffi biondo-rossi, lo rendevano simile quasi ad un nano delle leggende del nordico continente di Myrgan più che ad un normale essere umano. L’età, probabilmente intorno ai quarant’anni, risultava difficilmente intelligibile nell’osservazione del di lui viso, in una pelle resa dal calore del sole simile a cuoio per colore e consistenza: quasi come fosse una maschera più che un volto, esso trovava uniche aperture sulla superficie quelle per i due occhi scuri, per le narici del naso e per i denti giallastri nella bocca, a concedere ad essi di mostrare la propria presenza nell’altrimenti statuaria ed inumana sua apparenza. A coprirne le fattezze, differenziandosi rispetto alle uniformi indossate da tutte le altre guardie forse in memoria di un passato più glorioso in qualche esercito, erano una casacca color amaranto ed un paio di brache similari, poste entrambe al di sotto di una leggera e compatta armatura argentata con bordi dorati: un lavoro estremamente pregiato e necessariamente realizzato su commissione personale, ancora lucente nelle proprie forme per quanto invecchiato dal tempo e da evidentemente troppe battaglie, che lì avevano lasciato chiari segni del proprio passaggio. Dalla protezione assicurata dall’armatura, solo le braccia e la parte bassa delle corte gambe restavano escluse, probabilmente più per permettergli libertà di movimento che per un’impossibilità a vederle a loro volta ricoperte dal metallo lavorato.
Dall’alto del proprio cavallo, egli osservò con serietà la donna che aveva attaccato ingiustificatamente Midda, con labbra non visibili sotto i baffi ma intuitivamente piegate verso il basso in una chiara espressione di disapprovazione.

« Cosa significa questo? » domandò il maggiore, verso la propria subalterna.
« Quella cagna stava per attaccarmi. » sbraitò l’altra, mentendo spudoratamente ma ritrovando immediatamente e prevedibilmente appoggio nei propri compagni « Mi sono solo difesa! E’ una furia… non un essere umano! »
Andear voltò lo sguardo verso donna guerriero, studiandola in silenzio, nelle di lei piaghe, nel di lei sangue, nella di lei sofferenza, prima di riprendere parola: « Stolti! Chi credete di ingannare? » li rimproverò tutti, con freddezza « Quella pirata non può ormai più nulla contro alcuno di voi. »
« Ma, signore! » tentò di intervenire un’altra guardia, un uomo, in supporto della compagna, in difesa di tutti loro.
« Gli ordini del magistrato sono stati chiari. » lo fermò con tono deciso, mostrando i denti gialli sotto ai baffi, in un gesto simile ad un ringhio animalesco « Chiunque di voi leverà ingiustificatamente la mano contro la prigioniera dovrà renderne conto a me personalmente! »

Silenzio accolse quelle parole, un silenzio nel quale la mercenaria colse chiaramente rispetto e devozione verso quel comandante, nonostante egli non li stesse giustificando ed, al contrario, li stesse ammonendo: non le era dato di conoscere nulla in merito alla situazione, non le era dato di sapere qualcosa su quell’uomo prima di allora sconosciuto, ma, di certo, egli non doveva essere una persona comune nel carisma che chiaramente sapeva offrire nonostante la natura non fosse stata generosa nei suoi riguardi, in un mondo dove ogni debolezza o ogni limitazione fisica avrebbe segnato per chiunque la differenza fra la vita e la morte.

« Sono stato chiaro?! » aggiunse poi egli, con voce alta che risuonò fino agli estremi di quel piccolo esercito, imponendosi sopra a chiunque lì presente.
« Sì, signore! » risposero tutti, praticamente all’unisono.
« Sono stato chiaro?! » domandò nuovamente, apparendo quasi ora più grande, più imponente nella propria posizione sul dorso del cavallo.
« Sì, signore! » confermarono nuovamente tutti, quasi gridando in coro.
« Bene… » concluse il maggiore, tornando a parlare con tono pacato « Ed ora in marcia. Se avete avuto energia sufficiente per attaccare briga in violazione degli ordini, vuol dire che non siete ancora abbastanza stanchi da meritare riposo. »

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sembra un maggiore dell'esercito americano! Mi aspettavo quasi un "signorsì, signore" in risposta xD

Sean MacMalcom ha detto...

Gh! :D
In effetti lo stile "sergente istruttore" era voluto! :D

Vedrai domani (ep. 193) però cosa ti riserva veramente questo nuovo personaggio! :D