11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 4 maggio 2019

2900


Il dolore non le stava concedendo possibilità di tregua alcuna.
Quanto stava accadendo, quanto le avevano fatto, era sbagliato. Era innaturale. Era abominevole.
Ella era morta. Se lo ricordava perfettamente. Aveva piena coscienza di essere morta. E ciò non di meno, eccola lì. Eccola lì ancora in vita. Ed eccola lì trasformata in un’arma. Un’arma scagliata in opposizione a coloro i quali, per lei, erano stati degli amici… erano ancora degli amici. Un’arma detonata in contrasto a colei per la quale, ella, era stata addirittura ben felice di sacrificarsi, la prima volta.
Ella non desiderava farlo. Non avrebbe voluto farlo. Non avrebbe mai potuto volerlo. Eppure lo aveva fatto. E, quasi, aveva provato anche piacere nel farlo. No. Non lei… una parte di lei. Un’altra lei. E una lei che, in quel momento, si poneva al comando del suo corpo, qual un’aliena dominatrice del suo io. La sua coscienza, ciò che ella era, ciò che ella era sempre stata e sempre sarebbe rimasta, era stata completamente esclusa, scavalcata, dall’orrore di quanto le avevano fatto, e relegata lontano, persa nei meandri della propria psiche. E così ella, celata in un angolo oscuro della propria mente, si era ritrovata ad assistere inerme a quello scontro, gridando a squarciagola, o, per lo meno, cercando di gridare a squarciagola, tutto il proprio dolore, tutta la propria pena, tutto il proprio dramma, senza, ciò non di meno, avere alcuna possibilità di essere udita.
Un dolore, il suo, che in quanto era accaduto non avrebbe avuto a doversi fraintendere soltanto psicologico, in conseguenza al tradimento a cui l’avevano così costretta, ma addirittura fisico. Perché, nell’orrore di ciò che le avevano imposto, non avrebbe mancato di sussistere una profonda agonia.
Tanto dolore. Profondo dolore. Viscerale dolore. Un dolore che la straziava sin nel più profondo della propria anima, nel mentre in cui, ella non avrebbe potuto ovviare a percepire le proprie membra dilaniate da quella metamorfosi, le proprie ossa infrante e ricostruite ogni volta, per assumere proporzioni diverse, forme diverse, con un patimento, con una pena priva d’eguali, e della quale, tuttavia, le avevano persino negato ogni pur minima possibilità di espressione. O, così, quantomeno tale all’esterno della propria mente, nel confronto con il resto del Creato. Giacché nel proprio interno, nelle proprie viscere, quei due mutamenti ai quali si era ritrovata costretta, e costretta da quel subdolo controllo in conseguenza al quale ogni barlume di reale coscienza, in lei, era stato spento, era stato inibito, L’avevano praticamente uccisa. O, quantomeno, ella non avrebbe potuto ovviare a sperare che l’avessero realmente uccisa, salvo poi, sgradevolmente, scoprirsi ancora in vita, ancora cosciente, e cosciente di quanto, contro ogni proprio libero arbitrio, il suo corpo, in quel momento in altre sembianze, e in sembianze diverse dalle proprie, e guidato da un’altra coscienza, e da una coscienza diversa dalla propria, stava venendo mosso a compiere.
Purtroppo a nulla sarebbe valso ogni suo intimo tentativo volto a opporsi a tutto ciò. A nulla sarebbe valsa ogni sua protesta, ogni suo lamento. A nulla sarebbe valsa tutta la sua pena. E questo, molto più del proprio intrinseco dolore, non avrebbe potuto ovviare a straziarla, e a straziarla oltre ogni misura, nel confronto con la frustrante inutilità della lucidità a lei così concessa. A quale scopo tutto quello? A quale scopo permetterle di avere coscienza di quanto stava accadendo attorno a lei, e in lei, se non le sarebbe neppure stata concessa opportunità di esprimersi, di palesare la propria sofferenza o, ancor più, di trovare una maniera di arginarla? A quale scopo una vita come quella: una nuova vita, una seconda occasione di vita, non voluta, non ricercata, e allor impostale, e impostale tuttavia in modi estranei a quanto mai alcuno avrebbe potuto desiderare, a quanto mai alcuno avrebbe voluto riservarsi possibilità di vivere…
Chi era ella, veramente? Torturatrice… o, piuttosto, torturata? E dire che, nel corso della propria vita, ella ea stata molte cose. Forse anche troppe. E, forse, tutto quello che ora le stava venendo imposto di vivere avrebbe avuto a doversi considerare una sorta di equo contrappasso per tutto il male che, dietro tanti volti diversi, ella aveva più o meno consapevolmente compiuto in passato. Possibile che, in verità, ella fosse realmente morta? Possibile che, tutto quello che le stava accadendo, allora, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual una sorta di divina punizione per le proprie colpe? Avrebbe avuto a dover essere inteso quello, quindi, qual il proprio inferno personale, nel quale, dietro a volti non propri, ella null’altro avrebbe potuto fare se non assistere inerme allo svilupparsi di molteplici, violente offensive a discapito di coloro ai quali ella teneva? Fosse stato così, quasi consolatorio tal pensiero avrebbe avuto a imporsi sulla sua mente, sulla sua coscienza, e su quel suo barlume di coscienza celato nella profondità della sua mente, giacché, per lo meno, alcun male, alcun torto, avrebbe lì avuto a dover essere riconosciuto a discapito dei suoi amici, delle persone che ella amava e contro le quali mai avrebbe potuto tollerare di scoprirsi intenta a levare la propria mano, e a levarla nella furia omicida che, lo sapeva, l’aveva contraddistinta, e l’aveva contraddistinta in particolare contro colei che più aveva amato quand’ancora in vita.
Il dolore non le stava concedendo possibilità di tregua alcuna.
Ed eccola, di nuovo, ancora una volta, intenta a mutare il proprio aspetto, a percepire le propria ossa infrangersi come un fragile cristallo, polverizzandosi all’interno del proprio corpo solo per poter essere riplasmate in nuove forme, in nuove proporzioni. Un’agonia tremenda, che ella avrebbe volentieri espresso in un grido disperato se soltanto le fosse stato concesso il controllo della propria bocca. E un’agonia tremenda, alla quale non poté dar voce, costretta a soffocarla nel profondo della propria anima, nel mentre in cui, dai suoi denti, non ebbe a emergere il benché minimo gemito, nel contempo, piuttosto, di un quieto, e irreale, sorriso.
Ed eccola, di nuovo, ancora una volta, intenta a mutare il proprio aspetto, a percepire le proprie membra strapparsi, dilaniarsi, esplodere come se il proprio corpo stesse passando all’interno di un tritacarne, per essere ridotto in frammenti scomposti solo per poter essere riplasmato in nuove forme, in nuove proporzioni. Un’agonia folle, che ella avrebbe volentieri espresso urlando a squarciagola tutto il proprio dolore se soltanto le fosse stato concesso il controllo della propria gola. E un’agonia folle, alla quale non poté offrire espressione, costretta a soffocarla nel profondo della propria anima, nel mentre in cui sulle sue labbra, e quelle labbra improvvisamente ricomparse sul suo volto ritornato in fattezze umane, altro non ebbe a conformarsi che un’espressione di quieta soddisfazione, e di quieta soddisfazione per il consenso che, in quel momento, avrebbe avuto a riconoscere dipinto sul volto della propria interlocutrice, nonché mandante del proprio operato… colei che, a conti fatti, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual la reale proprietaria del suo stesso io.

« Sei stata brava… » ebbe a confermarle, a rassicurarla, quella donna, e quella donna che non avrebbe potuto ovviare a odiare nella consapevolezza di quanto a lei, e soltanto a lei, avrebbe avuto a dover essere attribuita tutta la responsabilità per quanto occorsole, a partire da quella nuova occasione di vita, sino a giungere a quei nuovi poteri, quali ella non avrebbe mancato di indicarli, e che ben poco di potente avrebbero avuto a doversi considerare dal proprio punto di vista, nel confronto con tutta l’agonia che, dal loro impiego, non avrebbe potuto ovviare a derivare a suo discapito.
“Non sono stata brava… lurida cagna malefica!” ringhiò la sua coscienza, assistendo ancora una volta, e ancora una volta inerme e muta, alla vita che il suo corpo stava vivendo al di fuori del suo controllo.
« Non sono stata brava… mia signora. » si rammaricò al contrario la sua voce, nell’esprimere un profondo disappunto nel confronto con quanto, allora, non avrebbe potuto ovviare a considerare un proprio insuccesso, e un insuccesso nell’evidenza propria del proprio arresto e della fuga del proprio obiettivo « Non avrei dovuto permettere all’accusatore di frenare la mia mano. »
« No… va bene così. Non avertene cruccio. » la volle rassicurare l’altra, scuotendo appena il capo e rivolgendole un quieto sorriso « Hai agito in maniera corretta, commisurata al tuo stato e al tuo ruolo. » insistette, giustificando in maniera positiva il suo operato « Ti ho mandata a proteggere l’accusatore e questo è ciò che hai compiuto. Che poi la sua aggreditrice sia ancora viva, per il momento ciò non rappresenta un problema… non quanto, per lo meno, avrebbe rappresentato l’eventuale scandalo che avrebbe potuto conseguire alla sua uccisione in quell’appartamento, laddove tu non ti fossi frenata nel confronto con un esplicito ordine diretto da parte di Pitra Zafral. »
“Almeno hai coscienza di chi mi hai mandata a combattere…?” domandò la sua coscienza, ovviamente muta, all’interno della sua mente, seguendo quasi in terza persona l’evolversi di quel dialogo, senza avere alcuna possibilità di prendervi realmente parte “Comprendi chi sia Midda e cosa rappresenti per me…?!”
« L’accusatore… sembrava in complicità con quella donna. » puntualizzò malevolmente la sua voce, nel mentre in cui il suo corpo scosse il capo, e quel capo che, nel contempo, aveva assunto nuove fattezze, nuove fattezze umane, nuove fattezze di donna, e, ciò non di meno, ancora non le proprie fattezze originali, il proprio volto originale « Ne fosse stato minacciato, perché avrebbe dovuto frenare il mio incedere... »
« Pitra Zafral non è un tuo problema, bambina. » escluse la sua interlocutrice, scuotendo il capo e aprendole la cella, per farla uscire di lì, nel mentre in cui, in sua vece, un’altra donna ebbe a entrare, e una donna che, pur senza aver necessità di verificare il proprio corrente aspetto in uno specchio, ella era consapevole essere, in quel momento, la proprietaria originale delle nuove sembianze che aveva così assunto « Egli è così lontano dalla verità che, anche laddove avesse a trovarsi di fronte a essa, probabilmente non la riconoscerebbe. Al pari di nessun altro in questo mondo così progredito e, al contempo, così primitivo nel proprio intendimento sulla realtà delle cose. » la rassicurò, in parole che non poterono ovviare a risultare di difficile comprensione anche per lei, e per lei che, in fondo, neppure si stava ponendo in grado di comprendere perché avesse lì a essere ancora in vita « Ora preparati: questa fugace digressione, che pur si è dimostrata squisitamente utile per verificare le tue capacità, non avrebbe avuto a dover occorre. E altre sono le missioni che ti stanno già attendendo… e le missioni che dovrai portare a compimento per me. »
“Che cosa vuoi da me, dannata strega…?!” protestò ella, nella frustrazione dell’ennesimo intervento che non soltanto non sarebbe stato udito, ma sarebbe stato un buona sostanza completamente tradito dalle proprie stesse parole di lì a un solo istante dopo, così come, puntualmente, avvenne.
« Ai tuoi comandi, mia signora. » ebbe a confermare servilmente.
« A Pitra Zafral e a Midda Bontor, ci penserò io. » commentò l’altra, quasi fra sé e sé « Credo sia giunto il momento, per l’accusatore, di emettere una giusta condanna a discapito della nostra comune “amica”… »

Parole, quelle così udite, che ebbero a scuoterla nel profondo del proprio animo, sorpresa dalla confidenza allor dimostrata da quella donna nei riguardi di quel nome: un nome che, ne era certa, neppure la sua altra coscienza, e la coscienza in quel momento al controllo del suo corpo, avrebbe potuto vantare di conoscere.
Chi era veramente quella donna…? E cosa avrebbe mai potuto volere veramente da Midda Bontor…?!

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