11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 19 maggio 2019

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« E poi, mentre ancora stavo scontando la mia pena, iniziai a comprendere una semplice verità: per quanto io fossi stato forte, per quanto io fossi stato arrogante, per quanto io fossi stato prepotente, vi sarebbe stato sempre qualcuno che, a prescindere dalla propria forza, dalla propria arroganza e dalla propria prepotenza, avrebbe potuto avere la meglio su di me… un accusatore. » confessò quietamente, condividendo con la propria interlocutrice quella parte del proprio passato e di quel passato del quale non avrebbe potuto andare assolutamente fiero e che pur, non di fronte a lei, non di fronte ad altri, avrebbe mai mistificato, comunque fiero del proprio percorso di vita e di quanto, in esso, ottenuto « Così, ancora rinchiuso in quella miniera, decisi che avrei dovuto diventare io stesso un accusatore. E per quanto assurdo tale pensiero avrebbe potuto risultare, iniziai a trascorrere parte delle mie notti a studiare la legge, a imparare quelle stesse regole delle quali mi ero da sempre disinteressato… e questo ebbe a cambiare qualcosa in me. » dichiarò, ancora una volta accennando un lieve sorriso, nel ricordare, quasi romanticamente, il proprio primo incontro con la legge, e con quella legge che avrebbe alterato radicalmente il corso della propria intera esistenza « Sembra folle a dirsi, e probabilmente lo è, ma più studiavo la legge, più ne comprendevo il valore, e più ne comprendevo il valore, più la apprezzavo. La legge mi offrì allora la possibilità di sviluppare quella bussola morale che da sempre mi era mancata, mi offrì allora l’occasione per iniziare a distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, offrendomi, in ciò, dei criteri oggettivi, dei criteri estranei a ogni possibile manipolazione. »
« Qualcuno potrebbe definirti uno zelota… » osservò ella, ora tornata seria nel confronto con un uomo che, non avrebbe avuto a doverlo dimenticare, solo poche ore prima l’aveva condannata, e l’aveva condannata per spergiuro, una condanna, la sua, che alla luce di quelle stesse parole, ovviamente, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa come modificata, e che, in questo, l’avrebbe vista perdere la propria libertà, la propria indipendenza, con la sola colpa di aver eseguito i propri ordini, di aver servito il proprio omni-governo, esattamente come lui.
« Può essere che io lo sia. » confermò egli, stringendosi appena fra le enormi spalle « Di certo la legge, da più di trent’anni, è la sola compagna che mi è stata sempre vicina, che non mi ha mai abbandonato o tradito… e che mi ha aiutato ad affrontare questa folle realtà con solide basi di riferimento, come pochi, o forse nessuno, potrebbero vantare di possedere. » dichiarò, in parole che non avrebbero offerto il benché minimo spazio a fraintendimenti di sorta nel merito delle sue posizioni e, alla luce delle quali, ogni ipotesi di una qualche chiave di lettura romantica a margine di quel loro appuntamento, di quella loro cena, avrebbe perduto di significato, nell’imporre a quella donna una rivale inarrivabile fermamente insidiatasi nel cuore dell’accusatore.

Ma al di là di quanto egli potesse star lì dichiarando, le sue parole e le sue azioni non avrebbero avuto a doversi considerare in quieta armonia.
Perché, laddove per lui l’unica realtà fosse stata la legge, la quieta applicazione della legge non gli avrebbe concesso l’opportunità di ideare una serata come quella, di prendere una prigioniera condannata e di condurla seco in un luogo come quello, per deliziarla con una cena come quella, probabilmente molto più costosa rispetto a quanto mai ella si sarebbe potuta permettere di pagare senza, in ciò, avere a incidere spiacevolmente nel proprio bilancio domestico, e, ancora, di vestirla con un vestito bello come quello che le aveva procurato, un abito di fattura semplicemente pregevole, e dal taglio squisito, un taglio, invero, scelto con gusto a dir poco impeccabile per concederle di apparire in tutto il proprio abitualmente inespresso potenziale fisico.
Rosso il colore di quella morbida stoffa, a porre in risalto il candore della sua pelle e a offrire uno squisito contrasto con il biondo dei suoi capelli, conformata, attorno ai suo fianchi, alle sue gambe, nelle proporzioni di una lunga gonna sapientemente e amabilmente drappeggiata in termini tali da nulla lasciar apparire e, ciò non di meno, nulla castigare, soprattutto nelle squisite forme di quelle gambe forti, di quei glutei sodi, la cui fiera muscolatura sembrava essere in grado di risaltare persino al di sotto di quella stoffa, e di quella stoffa che pur nessuno avrebbe potuto accusare d’esser stata volutamente predisposta a tale scopo, di essere stata scelta per simile interesse, rendendo, in ciò, un tanto squisito accento sulle sue forme non qualcosa di volgare o offensivo, quanto e piuttosto una mirabile esaltazione della sua femminilità, e di quella femminilità che, probabilmente, come militare, non era solita esprimere nella propria quotidianità. Più in alto, il suo addome e i suoi seni si ponevano ancora una volta elegantemente celati dietro a proseguo di quello stesso abito, lì, tuttavia, conformato in un sapiente intreccio di sfotte che, pur senza riservarsi un’apparente linea di interruzione nei riguardi della gonna, a quell’altezza si offrivano così diversamente arrangiate, nelle proporzioni proprie di un elegante corpetto, ancora una volta completamente celando il suo corpo e pur, obiettivamente, nulla di esso celando, nulla di lei castigando, nell’offrire, anzi, in grazia a quelle forme e a una lieve, lievissima e assolutamente innocente scollatura, un giusto risalto in favore delle forme dei suoi seni, e di quei seni che, nel corso di quello stesso pomeriggio avrebbero avuto a doversi riconoscere sicuramente più esposti, al di sotto della semplice canottiera allora da lei indossata, rispetto a quel momento, e che pur, al di sotto di quell’abito, non avrebbero potuto ovviare ad apparire forse e persino più conturbanti, posti in dolce risalto come, abitualmente, non sarebbe stato necessario, e forse sarebbe stato persino compromettente, per una soldata. E, ancora più in alto, all’altezza delle sue spalle e delle sue braccia, in un mirabile lavoro sartoriale, la compostezza propria di quella stoffa cedeva il passo, ancora una volta nel massimo della ricercatezza e senza possibilità di volgari fraintendimenti, a un elegante pizzo, e a un pizzo lì ricamato, in verità, sopra a un’impalpabile velo trasparente, e un velo trasparente che, in ciò, contribuiva a lasciar intendere le rose così lì disegnate quali, in apparenza, disegnate direttamente al di sopra della sua epidermide, quasi tutto ciò avesse a doversi percepire qual un tatuaggio in meraviglioso accordo con le forme dell’abito.
Impossibile, nel confronto con lo spettacolo mirabile che Tora Ghiedel stava lì offrendo, sarebbe stato per un qualunque uomo non proporsi quantomeno turbato dalla sobria sensualità che ella non avrebbe potuto ovviare a presentare, a offrire, che potesse volerlo o meno. E impossibile, nel confronto con tutto ciò, e nella consapevolezza di quanto, unico artefice di tale spettacolo, altro non avrebbe avuto a doversi riconoscere se non lo stesso accusatore, non aver lì a ritenere un interesse romantico da parte dello stesso Pitra Zafral nei riguardi di quella donna, e di quella donna contro la quale pur non si era negato occasione di combattere, e di menare colpi forti e decisi, e lo splendore della quale, ciò non di meno, in quel momento aveva lì permesso di lasciar risplendere in tutto il suo più vivace e puro bagliore.
Per tale ragione, a seguito di un’affermazione di completa fedeltà, da parte sua, nei riguardi della legge, quasi essa altro non avesse a doversi intendere se non qual la propria unica sposa, impossibile sarebbe stato per lei non avere a formulare un interrogativo, e un interrogativo lì quantomeno giustificato nella propria occorrenza, e giustificato da tutto quello, da quella cena, da quel luogo, da quell’abito e dall’evidenza della realtà dei fatti e di quei fatti che, tutto quello, stava vedendo posto in essere solo e unicamente per lei.

« Pitra… » sorrise ella, prendendo quindi l’iniziativa e l’iniziativa propria di allungare la propria destra in avanti, a ricercare la mancina di lui oltre l’estensione del tavolo, e a ricercare, insieme a quella mano, l’occasione di un contatto fisico con lui, e un contatto fisico sicuramente diverso da quanto li aveva contraddistinti soltanto poche ore prima, un contatto fisico, ora, dolce, delicato, amorevole, scandito dal tocco lieve della punta delle sue tornite dita sulla superficie di quella mano enorme, dalla pelle ruvida, come ruvido non avrebbe potuto ovviare ad apparire lo spirito di quell’uomo, e di quell’uomo sotto la dura scorza del quale, tuttavia, non avrebbe potuto mancare di celarsi qualcosa di più « … mi trovi attraente? »

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