Rimau Coser non avrebbe potuto considerarsi più soddisfatto di quanto era accaduto. In effetti, per quanto non capisse per quale ragione Midda Bontor fosse rimasta immune all’incantesimo del flauto di Midrahem, tutto ciò si era dimostrato a proprio personalissimo vantaggio, nel concedergli l’insperata occasione di prendersi una rivincita diretta contro di lei.
Certo: se anche ella fosse rimasta soggiogata dalla musica, e avesse avuto a doversi intendere una fra le tante persone che egli stava conducendo lontano dalle proprie abitazioni nella più completa inconsapevolezza degli stessi, la questione sarebbe andata egualmente bene a confronto con il proprio personalissimo punto di vista. In fondo, anche in quel caso, egli avrebbe avuto una certa rivincita morale a suo discapito. Ma un conto avrebbe avuto a doversi intendere una mera rivincita morale, per lo più nell’inconsapevolezza da parte della medesima nel merito di quanto fosse occorso, a un altro conto avrebbe avuto a doversi intendere una rivincita pratica, nonché l’occasione di poterla consapevolmente e apertamente deridere per così come, allora, era avvenuto. Insomma: non era quello che egli stava allor cercando e, in effetti, non avrebbe neppure avuto a poter vantare una qualunque possibile intenzione a tal riguardo, avendo già avuto modo di dispiacersi troppe volte, in passato, per aver cercato di opporsi a quella figura. Ma ciò era accaduto. E, ora, egli non avrebbe potuto ovviare a considerarsi indubbiamente soddisfatto per questo, con la speranza che ella, ancora una volta, avesse a tentare un attacco a suo discapito. Perché se pur, sino a quel giorno, Rimau Coser si era impegnato a evitare di incrociare nuovamente il cammino di quella donna, non desiderando che ella potesse sottrargli altro, dopo avergli già portato via le proprie mani, prima, e una pietra del tempo, poi; ora non avrebbe potuto ovviare a giudicare di essersi imposto eccessivo timore nei di lei riguardi, là dove non ve ne era assolutamente bisogno. Anzi.
Ormai egli non era più l’uomo di un tempo.
In effetti egli aveva smesso di essere quell’uomo nel momento stesso in cui, molti anni addietro, ella gli aveva amputato entrambe le mani, imponendogli nella maniera più violenta possibile una terribile lezione di umiltà. E una terribile lezione di umiltà senza la quale non avrebbe avuto, probabilmente, la possibilità di divenire colui che ora egli era. Tutto, del resto, aveva avuto inizio proprio a seguito di quello scontro, e di quello scontro così banalmente risolto dalla propria antagonista. Uno scontro che gli aveva fatto comprendere che, se soltanto avesse voluto riservarsi ancora un’occasione di vita vera, avrebbe dovuto osare spingersi oltre i limiti della propria mortalità, seguendo, paradossalmente, il cammino segnato dalla propria stessa antagonista con tutte le proprie epiche gesta.
Così Rimau Coser aveva iniziato a condurre ricerche. Ricerche utili a comprendere come recuperare le proprie mani. E, parimenti, utili a comprendere come ottenere la propria vendetta. E si era spinto, senza saperlo, lungo lo stesso cammino che già, parecchi anni prima, ella stessa aveva percorso, quando la sua gemella le aveva portato via il braccio destro. Ma se la Figlia di Marr’Mahew, all’epoca, non aveva avuto esitazione ad accettare l’osceno prezzo richiestole da quelle orride creature; egli non aveva accettato, preferendo, ove necessario, avere a rinunciare per sempre alle proprie mani ma, quantomeno, conservare intatta la propria anima immortale. Era stato allora che egli si era fatto realizzare, da un semplice fabbro, le due spade con le quali si sarebbe accompagnato per molti anni a venire, quelle due lame utili a prolungare direttamente le proprie braccia e a garantirgli, ancora una volta, di tornare a poter combattere, e a poter combattere per il proprio onore, per il proprio nome, e quel nome che ella gli aveva così brutalmente negato. Ma prima ancora di cercare lo scontro con la propria antagonista, egli si era dimostrato saggio a sufficienza dal riconoscersi consapevole di non potersi arrischiare a tornare innanzi a lei senza una garanzia di vittoria. Ragione per la quale aveva avuto ad attendere ancora, per concedersi, nel contempo, occasione utile a fare pratica, a crescere in esperienza e abilità, ponendosi alla prova in molte imprese, se pur senza il medesimo clamore che, generalmente, accompagnava la propria nemesi. E non perché quanto da lui compiuto non avrebbe avuto a meritare giusta gloria: quanto e piuttosto perché egli stesso aveva compreso sarebbe stato meglio mantenere un certo riserbo attorno a tutto questo, continuando a essere, sostanzialmente, il Nessuno che ella lo aveva additato essere, almeno fino a quando i tempi non fossero stati maturi e non avesse avuto l’occasione di tornare da lei per esigere la propria vendetta. E i tempi parvero maturi quando, nel corso di una propria avventura, egli ebbe a impossessarsi di una pietra del tempo, quella straordinaria risorsa in grazia alla quale non avrebbe avuto occasione di fallire, perché anche laddove avesse fallito, egli avrebbe potuto ricominciare tutto da capo, e continuare a farlo fino a quando, alla fine, tutto non fosse andato per il meglio. Solo allora, quindi, aveva fatto ritorno in quel di Kriarya, e vi aveva fatto ritorno ancora senza nome e senza fama nella volontà di sorprendere la propria avversaria.
Purtroppo, anche allora, Midda Bontor era riuscita ad avere la meglio su di lui. E la cosa peggiore è che egli non riusciva neppure a rammentare in che maniera, giacché, semplicemente, si era ritrovato nel punto in cui, evidentemente, tutta la questione aveva avuto inizio privo della propria pietra, come conseguenza evidente del riavvolgimento del tempo da parte della propria stessa antagonista.
Era stato dopo di tanto e forse ancor più oltraggiosa sconfitta che egli aveva deciso di non sprecare ulteriormente il proprio tempo contro di lei, nel timore di quanto, presto o tardi, la fortuna avrebbe potuto smettere di arridergli ed ella avrebbe potuto decidere che, non più Nessuno ma qualcuno, egli meritasse di morire. E così aveva nuovamente lasciato Kriarya, per fare ritorno alla propria discreta carriera da mercenario e avventuriero, cercando nuove occasioni per migliorarsi, per così come, chiaramente, ancor necessitava. Ciò era stato tale sino a quando una nuova reliquia stregata venne da lui conquistate: il flauto di Midrahem, per l’appunto. Un’altra arma estremamente potente, con la quale avrebbe potuto piegare a sé intere nazioni... se soltanto non fosse stata per lui spiacevolmente inutile in assenza di mani utili a suonarlo. Ragione per la quale, alfine, egli aveva dovuto trovare modo per rimediare all’assenza delle proprie mani.
“Rimettiamoci in marcia...” pensò fra sé e sé, scuotendosi dai propri pensieri e riprendendo, quindi, il cammino estemporaneamente interrotto, ed estemporaneamente interrotto in conseguenza all’imprevisto arrivo di Midda Bontor “... se vorrà riprovarci, saprà come trovarci.” concluse, continuando a suonare per condurre ancora seco tutta la popolazione della città.
Ovviamente la musica non avrebbe avuto a doversi mai interrompere, pena la perdita di controllo sugli abitanti di Kriarya e il loro improvviso risveglio. Fortunatamente per lui, comunque, quello non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual un flauto qualsiasi e, per effetto della benedizione del dio Midrahem, chiunque lo avrebbe suonato, fintanto lo avesse continuato a suonare, non avrebbe avuto a risentire né di stanchezza, né di fatica, né di sete, né di fame o di sonno, quasi come fosse, a propria volta, sotto l’effetto dell’incantesimo del flauto stesso. E, in effetti, tale paragone non avrebbe avuto a dover essere considerato azzardato, laddove, in effetti, l’effetto di quell’incanto sarebbe valso, per l’appunto, tanto sull’incantatore quanto sugli incantati, con tuttavia la tutt’altro che banale considerazione di quanto, egli fosse l’artefice di tutto ciò e non la vittima.
“E, in fondo, lo spero... che voglia riprovarci.” soggiunse, sempre nell’intimo dei propri pensieri, galvanizzato dal trionfo appena riportato e desideroso di avere a ripeterlo, e a ripeterlo ancora e ancora, rendendo consapevole la propria nemica della più assoluta futilità di qualunque sforzo a suo discapito, a discapito di Nessuno.
Una speranza, la sua, dal sapore di certezza, laddove improbabile sarebbe stato per la donna guerriero avere a rinunciare così facilmente allo scontro e allo scontro, per lo più, con qualcuno da sempre deriso.
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