Il concetto così enunciato da Be’Sihl non avrebbe potuto che apparire al contempo incredibilmente semplice quanto terribilmente complesso da comprendere per le due figlie di Nissa, abituate a un ben diverso genere di struttura sociale. Dopotutto, anche gli ultimi anni, quelli trascorsi a bordo della Jol’Ange, avevano veduto prevalere sulle loro menti ancora una gerarchia estremamente semplice, con un capitano al comando della propria nave e un equipaggio ai suoi ordini. Quanto, invece, lì stava venendo loro suggerito avrebbe avuto a dover essere intesa la presenza di un proprietario, anzi addirittura due, non interessati al comando della loro locanda, pur, comunque, in essa avendo a vivere e, almeno nel caso proprio di Be’Sihl, a operare quotidianamente, in termini non poi molto dissimili rispetto al passato.
« Ma se non ti interessa più gestire la locanda, perché non la vendi...?! » obiettò Meri, cercando di comprendere la posizione dell’uomo « Potresti cederla ad Arasha... e con il denaro derivante da tale vendita, potresti comprare una nuova dimora altrove, lontano da qui, per te e per la tua famiglia... »
A confronto con quelle parole, fu ora il turno del locandiere di restare per un istante disorientato, aggrottando prima la fronte con aria sorpresa e arricciando poi gli angoli delle labbra in un sorriso divertito: non che egli desiderasse prendersi giuoco delle bambine, ovviamente, ma tutto quello non avrebbe potuto ovviare a ispirargli una certa ilarità, a confronto con un’obiezione assolutamente sensata per chiunque al mondo e, ciò non di meno, lontana da qualunque senso per lui o, ancor più, per la donna da lui amata e alla quale egli, propria delizia o propria croce, aveva votato la propria intera esistenza.
« Kriarya è la nostra città. » spiegò quindi alle due ragazzine, indicando poi i piatti davanti a loro per invitarle a iniziare a mangiare fra una chiacchiera e l’altra « Avremmo potuto restare a vivere fra le stelle del firmamento se avessimo voluto, sapete? E non sarebbe stata una brutta vita, anzi. La tecnologia... e non mi chiedete di spiegarvi cosa sia perché non saprei neppure da che parte iniziare... la tecnologia, lassù, offre un sacco di comodità e di vantaggi che non potreste minimamente immaginare. » ricordò, non privo di una certa nostalgia « Ma questa qui, con tutti i suoi limiti, i suoi pericoli e la sua puzza di fogna, è la nostra città, con i nostri amici, con la nostra famiglia. E in nessun altro luogo, probabilmente, saremmo in grado di immaginare il nostro futuro. »
Non che Be’Sihl non avesse preso in considerazione soluzioni alternative, idee diverse da quella. Ma, a tal riguardo, Midda si era invece sempre riservata idee ben più chiare delle sue. E, con il senno di poi, ella aveva dimostrato di avere ragione. Perché se fra le stelle, pur, entrambi non si erano trovati male, avendo la fortuna di conoscere nuovi amici, di stringere nuovi legami e di riservarsi, comunque, occasione per vivere la propria vita, nel bene o nel male; era lì in quel di Kriarya, nel luogo più lontano possibile da tutte le stelle del firmamento, che entrambi non avrebbero potuto mancare di riconoscersi realmente a proprio agio, capaci non soltanto di comprendere effettivamente la realtà a loro circostante, ma anche, e cosa non meno importante, di essere compresi realmente da essa.
« Eppure né tu, né la zia, siete originari di Kriarya... » commentò Nami, scuotendo appena il capo, ancora poco convinta da quell’argomentazione « Non è un po’ privo di senso ciò che stai dicendo...? »
« E voi...?! » sorrise allora Be’Sihl, rigirando su entrambe la questione « Siete cresciute al fianco di vostra madre, che, sono certo, non avrà intessuto particolari lodi attorno al nome di sua sorella. E, malgrado tutto ciò che è stato, vi siete sospinte sino a Kriarya nella volontà di trascorrere del tempo con una zia che potreste affermare di conoscere a stento. » osservò, incrociando le braccia al petto « Non è, anche questo, un po’ privo di senso...? »
Be’Sihl non aveva tutti i torti. E, di ciò, Mera Ronae e Namile ne erano perfettamente consapevoli. Eppure... effettivamente, qualcosa le aveva spinte a volersi riservare una qualche occasione di rapporto con quella donna. Qualcosa che non avrebbe avuto certamente a doversi fraintendere qual un particolare senso di legame familiare nei suoi riguardi, laddove, al di là di un ovvio vincolo di sangue, esse non avrebbero potuto razionalmente considerarsi legate a Midda in misura maggiore di quanto non avrebbero potuto asserire di esserlo nei riguardi di chiunque altro, a partire da Be’Sihl, passando per Arasha, sino ad arrivare al balordo che avevano incrociato al loro arrivo in città.
Possibile che fosse, banalmente, il di lei volto? Possibile che, nell’osservare le sembianze della gemella della loro genitrice, esse non potessero provare quel medesimo folle e insensato senso di appartenenza che muoveva, loro malgrado, Be’Sihl e Midda verso Kriarya...?
« Comunque, se vi può far sorridere, sappiate che state vivendo una tipica colazione di vostra zia: non soltanto per i cibo nei vostri piatti, quant’anche per le filosofiche conversazioni con il sottoscritto. » soggiunse dopo un istante di silenzio egli, rendendosi conto di un certo momento di imbarazzo da parte delle due, e delle due evidentemente incapaci a comprendere cosa rispondere alle sue parole, cercando così di spingere verso una differente direzione la loro conversazione « E’ veramente affascinante constatare quante cose vi accomunino, malgrado tutta la distanza che è sempre esistita, e che ancor esiste, fra voi. »
« Oh... » commentarono entrambe, ancora una volta quasi all’unisono, a quelle parole.
In effetti, tutto ciò avrebbe avuto a dover essere inteso parte della tipica mattina di Midda in città. O, quantomeno, della Midda di un tempo, quand’ancora non avrebbe avuto a doversi considerare legata ad alcun altro al mondo se non al proprio locandiere, e a quell’uomo verso il quale avrebbe pur voluto impegnarsi a non provare alcuna emozione, nel timore di rovinare, in tal maniera, una delle poche amicizie che mai le era stata concessa opportunità di conservare.
Oramai, fortunatamente per lei, per lui, e per tutti quanti, le cose erano un po’ mutate. E, in ciò, rare, se non sostanzialmente nulle, erano state le occasioni nelle quali, ancora, avevano avuto possibilità di concedersi quel piccolo, intimo momento mattutino sulla base del quale, nel corso di anni, addirittura lustri, aveva avuto occasione di essere eretto il loro rapporto e il loro amore. Oramai, fra Tagae e Liagu, o Duva e Lys’sh, per non parlare di Maddie o Rín, o di qualunque altro membro di quella loro sempre più larga, e sempre più assurda famiglia, la nuova consuetudine sarebbe stata quella di una colazione decisamente più affollata e chiassosa, costellata di battute, battibecchi, pettegolezzi e chiacchiere in libertà, nelle quali poter vivere quelle fugaci occasioni di serenità che erano loro concesse fra una battaglia e l’altra, fra un’avventura e la successiva, con buona pace di quegli storici momenti in intimità. E quegli storici momenti ai quali, pur, non poter mancare di rivolgere uno sguardo affettuosamente nostalgico.
« Comunque... credo sia meglio lasciarvi fare colazione in santa pace, piuttosto che assillarvi con inutili chiacchiere. » ammiccò l’uomo, tirandosi appena indietro « Io sarà meglio che vada a svegliare Tagae e Liagu... o faranno tardi per la loro lezione. »
« Già...! » commentò Nami, chinando lo sguardo verso il piatto a quel riferimento nei riguardi delle attività di studio che i loro cugini stavano seguendo presso la torre di lord Brote, insieme all’unico figlio del medesimo, nella quieta consapevolezza di quanto, presto o tardi, lei e Meri avrebbero dovuto farsi coraggio e decidere di affrontare di petto quella questione, prima che fosse la questione a prendere l’iniziativa e ad affrontare di petto loro in termini che, all’occorrenza, sarebbero potuti risultare decisamente poco piacevoli.
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