Se pur Har-Lys’sha avrebbe potuto riservarsi qualche dubbio di sorta nel merito delle ragioni che potevano aver spinto la propria sorellona a lasciare tutta la popolazione di Kriarya, loro inclusi, nel bel mezzo del nulla, per fare precipitosamente ritorno alla città del peccato; nel momento in cui ella, in compagnia di Duva, Be’Sihl, dei piccoli Tagae e Liagu, di Seem, Arasha e della loro figlioletta, e così anche di Maddie e Rín, di Howe e Be’Wahr, nonché di H’Anel e M’Eu, e, ovviamente, di Korl e Lora, insomma di tutta la compagnia al gran completo, ebbe a giungere “Alla signora della vita”, ogni dubbio nel merito del perché Midda Bontor fosse andata via con tanta foga ebbe a esserle negato, e a esserle negato nell’evidenza dello stato pietoso in cui la locanda ebbe a presentarsi alla loro attenzione.
Non un solo mobile, non una sola sedia o un solo tavolo, ma neppure un singolo infisso, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto al proprio posto, nella totalità dei casi riverso a terra e nella quasi totalità dei casi, anche, distrutto, a offrire evidenza concreta di quanto, lì dentro, qualcuno fosse passato animato da parecchia foga, nella volontà di avere a trovare qualcosa e nell’evidente assenza di desiderio di passare inosservato. L’ipotesi della rapina, in ciò, ebbe a tradursi immediatamente in una certezza. E nella spiacevole consapevolezza, anche, di cosa poteva essere stato portato via...
« Dannazione... » gemette Duva, strabuzzando gli occhi a confronto con tutto ciò.
« ... le armi! » imprecò a denti stretti Lys’sh, scattando subito in avanti, per attraversare l’edificio e dirigersi, quanto più rapidamente possibile, là dove avevano nascosto il loro tesoro più prezioso.
Nel decidere di lasciare per sempre le stelle fra le quali avevano vissuto la propria intera vita sino ad allora, Duva e Lys’sh, in pieno accordo con Midda, avevano avuto a condurre seco un paio di capienti borsoni colmi di armi e di altre tecnologie che, pur normali all’interno della loro concezione della realtà, avrebbero avuto a doversi riconoscere più che futuristiche, se non addirittura magiche, dal punto di vista proprio della mentalità primitiva di un mondo come quello. Una scelta, quella da loro compiuta, giustificata da un certo qual senso di prudenza, al fine di non avere a ritrovarsi completamente inermi nell’eventuale confronto con qualche minaccia troppo grande per poter essere gestita in maniera convenzionale; e una scelta, ancora, che aveva già avuto occasione di dimostrarsi assolutamente azzeccata, nel confronto con quanto era avvenuto con la crisi dei ritornati, e con quella crisi che, in buona sostanza, aveva trovato occasione di risolversi soltanto grazie all’impiego di alcune di quelle armi.
Quei borsoni, la cui esistenza ovviamente era stata mantenuta discretamente segreta a confronto con il mondo attorno a loro, erano comunque stati accuratamente celati in un vano segreto che Midda Bontor aveva fatto ricavare all’interno della propria stessa camera da letto, nel cuore della locanda, là dove, era certa, in un modo o nell’altro sarebbero rimaste sempre al sicuro, protette, soprattutto, dalla più generale inconsapevolezza della loro semplice esistenza. Purtroppo, però, la battaglia di Lysiath aveva scombinato molte carte in tavola, non soltanto reintroducendo nel mondo migliaia di defunti riportati in vita come ritornati; e non soltanto introducendo, accanto a loro, altre migliaia di ritornati mai appartenuti a quel particolare pianeta; ma anche, e non in maniera particolarmente discreta, promuovendo l’esistenza delle armi al plasma, e di quelle armi che, per l’appunto, erano state loro necessarie a porre fine a quella folle guerra, nel riportare i ritornati alla ragione ponendoli a confronto con l’evidenza di un modo comunque utile per sancire in maniera definitiva la conclusione di quella loro nuova esistenza immortale. Così, quello che avrebbe dovuto essere un segreto, non era stato più tale. E probabilmente ingenuo, in tal senso, era stato da parte loro non pensare a trasferire altrove le armi, in un luogo meno ovvio, meno banale rispetto alla camera da letto della medesima Figlia di Marr’Mahew.
Un’ingenuità che, in quel giorno, ebbe a dimostrare tutti i propri più sgradevoli limiti...
« Niente da fare. » comunicò loro, con tono funereo, la donna guerriero, accogliendole all’ingresso della propria camera da letto, e di quella camera da letto a sua volta ineluttabilmente rivoltata, e rivoltata con assoluta cura, utile a individuare la posizione dei due borsoni « Le armi, la tecnologia, le batterie... tutto quanto. Tutto sparito. » scosse il capo, stringendo poi le labbra in una smorfia di disapprovazione.
« Questo è male... » sussurrò Duva, non potendo ovviamente dire nulla di utile per minimizzare la faccenda e non volendo, parimenti, dire nulla che potesse peggiorare il tutto... non che, in verità, la situazione le apparisse potenzialmente peggiorabile.
La Figlia di Marr’Mahew era seduta sul bordo del proprio letto, contemplando la vuota nicchia dove erano state riposte le armi. A conti fatti doveva essere così, probabilmente, già da qualche ora, nel misurare il tempo che era stato loro utile a fare ritorno in città rispetto a quello che, a cavallo, ella doveva aver altresì impiegato. E nella propria immobilità, ella doveva aver avuto occasione per rimproverarsi già in molti, probabilmente troppi modi diversi, per aver permesso che tutto quello avvenisse.
« So che sto per fare una domanda probabilmente stupida, ma... hai scoperto qualcosa dal flautista...? » domandò Lys’sh, rifiutandosi di definirlo come “Nessuno”, nella consapevolezza di quanto sarebbe suonato assurdo quell’interrogativo all’attenzione di Duva, per quanto, durante il viaggio di ritorno, avesse aggiornato lei e gli altri nel merito dei fatti, almeno entro i limiti della propria comprensione nel merito degli stessi « Sai chi c’è dietro a tutto questo...?! »
Fu allora che Midda ebbe a rialzarsi in piedi, per voltarsi verso le amiche, verso le proprie sorelle, per mostrare loro un rotolo di pergamena, che stava impugnando con la mancina e che, evidentemente, doveva averla mantenuta assorta nei propri pensieri sino ad allora, molto più della mera sparizione delle armi e di tutto il resto. Un foglio scritto con calligrafia tanto elegante quant’ancora semplicemente illeggibile da quelle due donne, e da quelle due donne che già dovevano litigare a sufficienza con la lingua verbale per potersi concedere l’opportunità di familiarizzare con quella scritta, e con una scrittura completamente estranea a quanto mai conosciuto sino a quel momento, non basata su una distinzione fra vocali e consonanti, quanto e piuttosto sulla loro combinazione, a dar vita a un complesso alfabeto sillabico, e un ricco alfabeto sillabico, tutt’altro che di elementare possibilità di apprendimento.
« Che cos’è...? » domandò Duva, sforzandosi di cercare di riconoscere qualche carattere lì in mezzo e, ciò non di meno, dovendosi rassegnare al confronto con la propria palese ignoranza a tal riguardo « Non abbiamo ancora imparato a leggere e scrivere in questo mondo... » rammentò quindi all’amica, a evidenziare il senso del proprio interrogativo.
E l’Ucciditrice di Dei, con aria sconsolata, non poté fare altro che sollevare la pergamena innanzi ai propri occhi per avere ancora una volta a leggere quel messaggio, già letto e riletto così tante volte, probabilmente, da essere in grado di citarlo a memoria...
“Mia carissima Midda,
non ho ancora idea di come sia successo quanto è successo.
Tuttavia, a costo di apparire paranoico, mi sento sufficientemente sicuro nel ritenerti responsabile per tutto ciò. Del resto la tua storia parla per te. E non può essere un caso se tutti i ritornati sono collegati a te, in un modo o nell’altro. Ciò senza considerare il tuo stupore a confronto con la mia ricomparsa, dal momento che, per amor di pignoleria, non hai mosso direttamente tu il colpo che ha decretato la prematura fine della mia precedente vita.
Prima che tu possa fraintendermi, non desidero assolutamente farti una colpa per averci riportati indietro da dovunque potessimo essere finiti. Anzi. Francamente questa nuova occasione mi aggrada parecchio. Soprattutto ora che non abbiamo più a dover dipendere dai capricci guerrafondai della tua gemella.
A tal riguardo, gradirei che tu possa riflettere, ora, su quanto io avrei potuto riservarmi, in queste ultime ore, la quieta possibilità di sterminare tutti i tuoi amici, tutta la tua famiglia. E come, tuttavia, non l’abbia fatto. Come ti stavo scrivendo, per l’appunto, non desidero farti una colpa per quanto è accaduto.
Comunque sia, a scopo precauzionale, preferisco privarti della possibilità di nuocermi nuovamente.
E’ vero che, tecnicamente, la prima volta non mi hai ucciso. Ma, sostanzialmente, sei stata tu a decretare la mia morte. E visto tutto l’impegno che hai già voluto dimostrare a mio discapito nel corso del nostro recente incontro, comprenderai quanto non avrei alcun piacere a rischiare di essere annichilito da una di queste tue armi speciali. Non interpretarlo come segno di sfiducia quanto, e piuttosto, come il desiderio di riequilibrare i termini del nostro rapporto.
Mi dispiace soltanto di non potermi permettere di essere lì a osservarti in faccia quando ti renderai conto di chi ti ha fregato. Anche perché immagino che tu non abbia pensato ad altri che a quella psicopatica della tua gemella.
Ritieniti comunque invitata a venirmi a trovare a Kirsnya, quando ne avrai voglia.
Non voglio negare che, sebbene almeno per te il tempo sia passato, ti continuo a trovare ancora estremamente appetitosa. E non posso smettere di fantasticare su conclusioni decisamente più conturbanti per quella notte di festa, di molti anni fa...
A presto.”
Non vi fu necessità, per Midda, di avere a leggere la firma in calce al messaggio. Anche perché tanto Duva quanto Lys’sh ebbero ad anticiparla praticamente in coro, nel ben comprendere chi avesse a doversi considerare l’autore del messaggio, nonché il responsabile per tutto ciò che era accaduto in quelle ultime ore...
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