11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 6 agosto 2008

209


L’
intimazione e l’ordine ricevuto, invero, non stupirono eccessivamente la donna guerriero che, altresì, si ritrovò spiazzata dal non essere riuscita ad individuare preventivamente i propri interlocutori, ipotetici avversari, celati sicuramente nell’ambiente attorno a lei. Per quanto si sforzasse di spingere il proprio sguardo a spaziare su quelle rocce, su quel terreno lavico, nulla sembrava apparire fuori luogo, nessun elemento risultava essere estraneo e questo, sinceramente, non le piacque per nulla.

« Calma… calma… » commentò muovendo piano la mano mancina verso il proprio pugnale « Lo sto facendo… »

Evitando gesti bruschi, che potessero offrire ragione ai suoi invisibili aggressori di volgere offesa contro di lei, non avendo lei stessa alcuna ragione di attaccarli, ella lasciò ricadere a terra il pugnale, aprendo poi appena le mani di lato per mostrarle come vuote, girando in tal mentre sul proprio baricentro per mostrarsi quale disarmata come richiestole e, contemporaneamente, per cercare di individuare almeno una delle posizioni di quei suoi avversari. Purtroppo, però, ancora una volta ella fallì in simile tentativo, non ritrovandosi assolutamente in grado di distinguerli dall’ambiente a sé circostante: evidentemente essi dovevano star servendosi di ottimi camuffamenti, che permettevano loro di dissimulare la propria presenza confondendoli con il terreno. Nulla di complicato da realizzare, chiaramente, nel momento in cui sarebbe occorso semplicemente un vasto mantello adornato con le stesse pietre laviche che le erano attorno per risultare assolutamente impercettibili, nel momento in cui si fosse stati in grado di mantenere una quieta immobilità.

« Liberati anche dell’armatura! » comandò nuovamente la voce, lasciando in tale richiamo l’occasione a Midda di isolare una possibile zona da cui esso stava provenendo.
« Non posso. » rispose ella, restando ora immobile « E’ il mio braccio. »

Un lungo momento di silenzio seguì quell’affermazione, nel concedere, evidentemente, ai propri interlocutori di vagliare quelle parole e ciò che esse implicavano: sebbene la sua condizione non fosse unica al mondo, non erano molti coloro che, come lei, avevano avuto occasione di rimpiazzare un arto perduto con una protesi metallica e, per questo, una dichiarazione come quella aveva ragione di suscitare qualche dubbio, dar vita a qualche incertezza. Ovviamente, il fatto che non esistessero molte persone nella di lei situazione dava un indubbio vantaggio per il mondo intero ad identificare simili individui, marchiati in modo indelebile nelle proprie identità e per tale ragione la mercenaria non ebbe da stupirsi nel momento in cui la voce riprese parola verso di lei.

« Sei Midda Bontor… non è vero? » domandò con tono estremamente retorico, quasi non vi fosse necessità di una risposta se non per confermare il buon senso o meno della donna.
« E’ così. » annuì ella « Spero che questo non rappresenti un problema per voi… »

Fu allora che, improvvisamente ed inavvertitamente, le guardie della cittadella si rivelarono agli occhi della donna guerriero, sorgendo dal suolo sopra il quale erano celati: dodici era il loro numero, ammantati come da lei supposto con uno speciale tessuto reso mimetico dall’innesto nella superficie di molti frammenti di roccia lavica, armati con spade e pugnali di pietra non dissimili da quello che ella aveva appena lasciato andare a terra. Osservandola con prudenza e diffidenza, quel gruppo sembrò restare in attesa di qualcosa, di una decisione che, probabilmente, doveva essere presa dal loro comandante, forse l’uomo con cui ella aveva conferito fino a quel momento: anche in questo contingente, così come in quelli della comunità di Sa-Chi, erano presenti sia uomini, sia donne, sia albini, sia non albini, in un’eterogeneità quasi perfetta nella propria formazione. Da essi, un uomo avanzò lentamente verso la donna, senza abbassare le proprie armi ed, anzi, tendendo i propri muscoli per essere pronto a difendersi da ella in qualsiasi istante, in qualsiasi eventualità: appariva evidente come egli la temesse, ne avesse un giusto timore, che non gli permetteva, come altri, di sottovalutarla.

« Perché sei qui? » chiese egli, continuando ad osservarla con intensità.
« Sono una prigioniera, come voi… » provò a rispondere ella.
« Ti sei alleata con i dimessi... non sei una come noi. » inveì l’uomo, stringendo con maggiore forza le proprie armi « Hai ucciso molti nostri compagni e compagne, nostri amici, nostri cari… »
« Se ti riferisci all’attacco condotto contro la cittadella di Sa-Chi, ho agito solo spinta dallo spirito di conservazione, per la mia sopravvivenza… » spiegò la donna, scuotendo il capo, non desiderando giustificarsi ma, semplicemente, spiegando la realtà dei fatti dal di lei punto di vista « Di loro, di voi… o degli altri… sinceramente non mi interessa nulla. Non sono qui per restare. »
« Neanche tu, Midda Bontor, potrai sfuggire al Cratere, non senza piegarti ai voleri di coloro che qui ti hanno rinchiusa! » commentò l’interlocutore, con tono quasi di scherno nei di lei confronti.
« Ho lasciato posti anche peggiori di questo… ed una volta compiuta la mia missione ritornerò al mio mondo, lasciandovi tranquilli alle vostre beghe. » affermò con freddezza la donna, ora portando le braccia ad incrociarsi sotto al petto, tranquilla.

In silenzio il gruppetto di guardie si osservò reciprocamente con incertezza, con dubbio, di fronte a parole pronunciate con tanta fermezza da colei di cui, evidentemente, conoscevano non solo l’identità ma anche le gesta o una parte di esse, domandandosi forse se davvero poteva essere ipotizzabile quanto da lei proposto oppure se ella parlasse senza reale cognizione di causa, senza piena conoscenza sui fatti a lei circostanti.

« E quale sarebbe la missione di cui parli? » riprese parola il portavoce di quel gruppo, tornando a volgersi verso la donna « Sei qui per offrirci danno? »
« Se così fosse, credete veramente che sareste ancora vivi? » sorrise ella, con sguardo sornione « O che, più semplicemente, mi avreste vista arrivare fino a voi? Suvvia, concedetemi un minimo di valore se anche non desiderate offrirmi fiducia… »
« Perché sei qui, allora? » insistette egli.
« Cerco un uomo, un giovane marinaio, che mi è stato riferito essere vostro prigioniero… desidero solo parlargli, avere da lui delle informazioni. »
« Noi non abbiamo prigionieri. » negò con forza ed apparente sincerità l’uomo « Nessuno mantiene prigionieri all’interno del Cratere: l’acqua ed il cibo sono beni troppo preziosi per poter essere divisi con altri… »
« Forse allora lo avete ucciso. » ipotizzò ella.
« Possibile, se egli era giunto per conto dei dimessi. » annuì la guardia, utilizzando per la seconda volta quel termine ad indicare la gente di Sa-Chi « Qual era il suo nome? »
« Tamos… giovane tranitha, guercio, marinaio… » rispose la mercenaria, offrendo in quelle parole una sommaria descrizione di egli « A quanto mi è stato detto è stato l’ultimo prima di me ad entrare in questo carcere… »

A quelle parole, sia il portavoce sia tutte le guardie dopo di lui, lentamente, abbassarono le armi, come se improvvisamente avessero avuto prova che ella non era lì in loro contrasto, non era lì per offrire loro un danno: con curiosità, con interesse Midda osservò quella reazione, non comprendendo cosa in ciò da lei riferito potesse aver suscitato un simile cambio di atteggiamento nei di lei confronti.

« L’uomo che cerchi non è morto e non è neppure nostro prigioniero. » spiegò tranquillamente il di lei interlocutore « Egli è un membro della nostra comunità. »

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