11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 10 agosto 2008

213


Un lungo bastone lavico, uno scettro, un simbolo di potere, identificò immediatamente il ruolo di colui che era intervenuto all’interno dello scontro fra il guercio e la mercenaria, sancendone la conclusione: diverso da quello di Sa-Chi, l’artefatto offriva alla sua estremità non un artiglio, o una mezzaluna a seconda di come lo si fosse interpretato, ma tre teschi umani, in un’apparenza decisamente più macabra, più violenta di quanto presentato dall’altra capofila, dalla guida dell’altra comunità. Scura, raggrinzita, rugosa era la pelle della mano che stringeva quel bastone, protetta come l’altra a lei simmetrica da una stretta fasciatura nera che risaliva oltre il polso perdendosi in quelle che erano le pieghe di una larga casacca biancastra, posta a copertura di un corpo magro, vecchio, stanco: dall’apertura della scollatura sul petto quasi potevano essere contate le ossa sotto la pelle, identificandosi chiaramente costola dopo costola a risalire verso un collo sottile, dall’aspetto estremamente fragile. Il volto, presente sopra tale apparenza, offriva uno spettacolo impressionante nel mostrarsi quasi completamente scheletrico nell’unica eccezione concessa dal mento: il termine “scheletrico”, invero, non desiderava indicare metaforicamente un deperimento o un’anzianità nell’individuo, ma una reale caratteristica fisica, che non trovava pelle e carne su quelle proporzioni quanto grigio osso in totale esposizione. Per un primo momento, Midda credette, sperò forse, di essere di fronte ad una maschera, ma osservando meglio l’uomo non poté rifiutare l’orrore di quella realtà, di quell’aspetto sfigurato, grottescamente umano, che presentava un’assenza di viso più che un volto: non naso, non occhi si mostravano a lei, per quanto fosse sicura che in quelle orbite vuote, oscure verso di ella, vi risiedesse ancora una scintilla vitale utile a non lasciare il proprietario sprovvisto del dono della vista. Sopra ed attorno a simile viso, dove avrebbe comunque atteso un cranio lucido e svelato, lunghi capelli bianchi scendevano lisci fino alle strette spalle, non offrendo, forse fortunatamente, ulteriori possibilità di indagine su quella realtà. Più in basso, le magre gambe, dritte e fiere nonostante il peso di un’età non riconoscibile, non qualificabile, si ponevano coperte da neri pantaloni, mentre i piedi risultavano protetta unicamente da una coppia di ciabatte, che ne mostravano ancora una volta la pelle incartapecorita.
Se quell’uomo era, come appariva, realmente il capo di quella comunità, la donna guerriero si stava ritrovando ad osservare il leggendario El’Abeb, il distruttore, il conquistatore, il dominatore, il massacratore.

Nello sguardo del guercio, rivolgendosi verso l’uomo in risposta al di lui ordine, fu solo smarrimento e triste rassegnazione: « Ma… » tentò di protestare.
« Così ho parlato. » si impose nuovamente l’altro, avanzando verso di loro nel far gravare la maggior parte del proprio esile peso sul bastone, che assolveva evidentemente in modo perfetto a quella funzione di supporto « Sei un bravo ragazzo e nessuno di noi desidera perdere le tue braccia, la tua forza, la tua combattività in maniera tanto stupida… »
Alcuna opposizione fu nei confronti di quelle parole, di quel divieto che egli accettò senza offrire ulteriori lamentele, in contrapposizione a tutti gli inviti dell’avversaria alla resa, precedentemente rifiutati: « Sia. » annuì semplicemente, chinando il capo verso il proprio comandante « Ammetto la mia inferiorità nei confronti di Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew. » aggiunse poi, in esecuzione dell’ordine ricevuto.

La mercenaria restò per un istante smarrita di fronte a quello scambio di parole, di fronte all’improvvisa remissività da parte dell’uomo che un istante prima sembrava intenzionato a gettare la propria vita in una vana prova e che, semplicemente per un breve comando, aveva immediatamente cambiato atteggiamento, rivolgendole addirittura la dichiarazione da lei richiesta. Un naturale e reverenziale timore, per pochi istanti, non poté che essere in lei presente di fronte all’uomo con il volto di scheletro. Egli, qualsiasi fosse il di lui nome, si era rivelato decisamente più in linea con l’idea classica di capofila all’interno di un carcere, incarnando nella propria anzianità un’esperienza, una saggezza senza dubbio maggiori di chiunque altro attorno a lui: di fronte a tanta immediata reazione da parte di chi a lui subordinato si ritrovava ad essere, anche laddove alterato dall’ira, però, ella non poteva che rivelare rispetto per simile forza d’animo, simile carisma, superiore a quello che mai ella avrebbe forse potuto avere.

« Accetto le tue scuse. » disse ella, notando come tutti fossero in attesa di una di lei reazione a quella dichiarazione « Avevi le tue ragioni per offrirmi violenza e risentimento e le posso comprendere. »
Il guercio, piegato di fronte al proprio capofila ma non di fronte alla propria avversaria, storse le labbra con disprezzo a quelle parole, per poi voltarsi ed allontanarsi con passo deciso da ella, non offrendo alcuna ulteriore parola, non concedendole alcun ulteriore sguardo.
Non potendo fare altro che prendere atto di simile reazione, la donna guerriero volse lo sguardo ora nuovamente verso l’uomo che aveva posto fine a quello scontro, osservandolo con interesse ed ipotizzando: « El’Abeb? »
« Tale è il mio nome. » annuì egli, chinando appena il capo « Ma se stai cercando in me l’uomo di cui hai sentito cantare, del quale hai seguito gli orrori probabilmente fin da quando ancora eri una bambina, non troverai nulla di tutto ciò… »

Forse in conseguenza di tali parole, forse in maniera del tutto casuale, lo sguardo della donna ricadde sulla di lui mano destra, quella che sorreggeva il peso del corpo aggrappandosi bastone, per trovare in quel punto, avvolto attorno al polso, un rosario color rosso acceso: impossibile per lei fu poterne contare il numero di grani, per tentare di identificare a quale culto esso potesse far riferimento con precisione, ma nonostante ciò fu inevitabilmente chiaro come un simile simbolo religioso non si proponesse in linea con quanto ella sapeva in merito al macellaio El’Abeb, uomo in grado di sterminare intere nazioni, privo di qualsiasi morale, di qualsiasi credo, di qualsiasi rispetto. Impossibile a quel punto fu definire quanto le ballate potessero aver storpiato la realtà dei fatti o, altresì, quanto potesse essere lui cambiato rispetto a colui che era un tempo, forse in conseguenza dell’imprigionamento oppure dell’invecchiamento.

« Non desidero mancarti di rispetto, El’Abeb. » spiegò la donna, inchinandosi appena di fronte ad egli ed al ruolo di potere che rappresentava all’interno di quella comunità « Ma la mia venuta in questa città non è conseguenza di una ricerca che ti individua quale obiettivo. »
« Sono stato informato delle ragioni che ti hanno spinta in questo luogo. » annuì l’uomo, con un tono che di certo avrebbe incluso anche un sorriso se solo gli fosse stato concesso ancora di sorridere « Ma prima di poter autorizzare il tuo incontro con Tamos desidero comprendere il reale animo che si cela dietro a questo desiderio, a questa tua missione. »
« Egli è qui? » domandò la mercenaria, per comprendere se tutto ciò avese un senso o fosse unicamente un dialogo fine a se stesso.
« Sì. » confermò nuovamente El’Abeb « E’ membro della nostra comunità e per proteggerlo desidero conoscere le motivazioni che spingono le tue azioni prima. Spero che potrai comprendermi… »
« Quello che non comprendo è questo vostro… “Cratere”… » commentò Midda, aggrottando la fronte con sincerità in quell’espressione di smarrimento « Di fronte a questa stessa domanda ho ottenuto la medesima risposta anche da una ragazzina di nome Sa-Chi, che per una settimana mi ha trattenuto nella sua abitazione prima di comunicarmi dell’assenza di Tamos: mi devo attendere un eguale trattamento? »
« Sa-Chi è una dimessa: ciò che ha compiuto lo ha fatto per i propri scopi, per il raggiungimento dei propri obiettivi, nella speranza di convertirti alla propria causa… » spiegò l’uomo, con tranquillità « Comprendo però come questi discorsi possano apparire confusi e di difficile comprensione per chi è esterno alla reltà di questo carcere e, per tale ragione, sono pronto ad offrirti ogni spiegazione se vorrai seguirmi. »

Una sgradevole sensazione di déjà vu coinvolse la Figlia di Marr’Mahew a quell’invito, ritrovando nel comportamento di El’Abeb invero un tremendo parallelismo con quanto già proposto da Sa-Chi ed anche laddove l’altra, come da lui riferito, aveva agito unicamente per i propri fini, ella si sentiva disposta a scommettere che anche quest’uomo non avrebbe perseguito nulla di diverso, cercando di manipolarla a proprio piacimento.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E alla fine Midda scoprirà che Tamos in realtà non era nel carcere xD

Sean MacMalcom ha detto...

LoL!!! :D
Sarebbe una grande evoluzione!! :D