11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 10 maggio 2009

485


… e
fu proprio allora che, approfittando di quel mio madornale errore, quella mia evidente ed imperdonabile mancanza nell'unico incarico assegnatomi fino a quel giorno, il fato decise di porci innanzi ad una prima, inattesa ed inattendibile svolta, tale da sconvolgere ogni nostra percezione sull'intera realtà a noi circostante.
Di ciò, però, non potei avere notizia se non per ultima fra le mie compagne, risvegliata improvvisamente dal contatto pur delicato ma ovviamente freddo con la mano destra della mercenaria sulla mia spalla, con il nero metallo che ne costituiva le forme in sostituzione alle ossa ed alla carne umana altrimenti lì attendibili.

« Fath’Ma… » mi richiamò con voce quasi preoccupata nei miei confronti, in merito alla mia salute, invitandomi ad abbandonare il sonno nel quale ero precipitata senza appello « … stai bene? »
« Dei… cosa ho fatto?! » esclamai, sollevandomi di colpo e rimproverandomi, per quanto ancora ignorassi l’esatta portata del mio sbaglio « Perdonatemi… devo essermi… »

Simili parole, però, si spensero inevitabilmente sulle mie labbra nel mentre in cui, riaprendo gli occhi e scrollando lentamente il capo per liberarmi dal torpore a cui avevo permesso di prendere il controllo sulle mie membra, ebbi piena coscienza dell'ambiente a me circostante e di come esso fosse mutato.

« … addorm… entata… » farfugliai stupefatta.

Vi prego di offrirmi uno sforzo di fiducia, di credermi, per quanto tutto questo, ciò che io sto dicendo possa sembrare assurdo a chi non abbia avuto la sfortuna di viverlo in prima persona, sulla propria pelle, nell'essere presente in quelle ore così critiche: l'intero mondo a noi circostante, l'ambiente così lontano dall'umano intelletto quale esso si era proposto fino a poco prima, innanzi ai miei occhi nuovamente aperti si concesse improvvisamente più nitido, definito, nelle proprie forme, nelle proprie proporzioni, risultando completamente nuovo e, paradossalmente, più piccolo.
Dove, infatti, fino a prima di quel mio ultimo breve sonno il soffitto sopra di noi, al pari di qualsivoglia parete, sarebbero stati impossibili da scorgere per quanto lontani, dispersi nelle proprie eccessive dimensioni, ormai tanto l'uno quanto le altre non avrebbero più potuto celare nella distanza le proprie architetture, i propri colori. Quello che ci fu offerto, mostrato, risultò essere pertanto un atrio sì vasto eppur non immenso, sì luminoso eppur non abbagliante: delimitata da un ampio perimetro geometrico, quasi circolare, quella sala sembrava essere un concreto tributo al marmo ed alla sua purezza più pura, più candida dove volutamente così ricercata. Alte colonne, infatti, sfoggiavano pallidi marmi perfettamente levigati al punto da risultare riflettenti similmente a tanti specchi e non diverse da esse erano le pareti a loro congiunte, glorificate nella propria lunare pallidezza nel proporsi completamente disadorne da arazzi, quadri, mobili o abbellimenti di ogni sorta, nella sola eccezione concessa da una doppia fila di lampade ad olio, lì collocate a fornire luce all'intero spazio a noi visibile. Risalendo con lo sguardo verso il cielo, poi, un'amplia cupola era delineata e sorretta da quegli stessi pilastri, richiudendo solidamente l'intera struttura così delineata non quale semplicemente scavata nella montagna quale da fuori sarebbe potuta essere intesa, quanto piuttosto realizzata in essa. Alle nostre spalle, là dove la sera rima era stato mantenuto il contatto con un pertugio tanto vasto fra porte così colossali tale da permetterci di attraversarlo forzatamente, violando un confine altrimenti imperturbabile, ancora alta si dimostrava la soglia, ma ora in dimensioni non diverse da quelle che avrebbe concesso una più consueta edificazione umana: anche i bassorilievi, precedentemente così smisurati da non essere neppure intuibili, apparvero ora, nei loro corrispettivi interni alla costruzione, tuttora presenti, per quanto non più smisurati ma completamente leggibili ad occhio umano. E in tale situazione, quella che precedentemente era stata considerata quale via di fuga, speranza di salvezza da quel luogo laddove ve ne fosse stata necessità, apparve inevitabilmente perduta, quale un labile ed effimero sogno notturno.

« Dove siamo?! » domandai forse con eccessiva ingenuità, in maniera naturale, non avendo alcuna possibilità di supporre, pur vagamente, di non essere nel medesimo luogo all'interno del quale mi ero erroneamente abbandonata all'abbraccio di Am’Dahr invece di mantenere una posizione di guardia « Cosa è accaduto? »
« Dovremmo essere noi a chiederlo a te… » commentò con tono sprezzante la principessa, emozione nei miei confronti che comunque non potei condannare in conseguenza di quanto occorso « Al termine del mio turno di guardia era tutto in ordine! »
« Io… mi dispiace… » ammisi, chinando il capo sinceramente contrita per simile situazione « Devo essermi lasciata andare e così mi sono addormentata. »
« Su questo non credo vi fossero dubbi. » insistette Nass'Hya, storcendo le labbra.
Fu Midda, però, a intromettersi fra noi, per interrompere sul nascere la discussione prima che potesse sfociare in futile polemica: « Basta così. » richiese verso entrambe, levandosi in piedi dove prima chinata su di me, per accertarsi delle mie condizioni « Dubito che quanto accaduto sia stato casuale ed addurre gratuitamente la responsabilità di tutto questo ad una di noi sarebbe quantomeno infantile ed inappropriato in questo momento. »
In conseguenza di simili parole anche l'aristocratica non poté evitare di chinare il capo, cedendo innanzi a tale giusta considerazione.
« Sapevamo che varcando queste porte ci saremmo avventurate in mezzo a potenziali pericoli al di là della nostra comune possibilità di comprensione… eppure abbiamo deciso di farlo: recriminare ora non ci porterà in alcun modo alla salvezza. » proseguì la mercenaria, addolcendo appena il proprio tono prima assolutamente severo.
« "Queste" porte?! » esclamai, sconvolta dal riferimento alle porte a noi prossime in quel momento quasi esse fossero le stesse colossali attraverso le quali eravamo giunte a quella situazione « Non è possibile… »
« Nella mia esperienza ho avuto modo di riscontrare in molteplici occasioni come l'impossibile sia tremendamente più probabile di quanto non saremmo umanamente portati a credere. » sottolineò la donna guerriero, osservandosi attorno.
« Fra pensare di essere stata trascinata nel sonno in un altro luogo senza averne il minimo sentore e pensare di essere stata coinvolta, altresì, in un qualche sortilegio, in una qualche magia, quindi, preferiresti la prima ipotesi?! » questionò la principessa, non cogliendo il raziocinio a sorreggere tale filosofia « E' assurdo… »
« No, dove l'alternativa preveda un nemico sì umano ma anche estremamente insidioso, capace non solo di narcotizzarci tutte senza concederci alcuna possibilità di rilevarlo… ma anche di inscenare tutto questo in maniera così convincente. » replicò l'altra, scuotendo il capo.

Dubbiosa in merito alla correttezza del ragionamento concesso dalla mercenaria, mi osservai meglio attorno, per tentare di giudicare con maggiore precisione la situazione e ricavare da essa una mia conclusione personale.
Escludendo la soglia chiusa alle nostre spalle, sulla cui disponibilità ad aprirsi non avrei scommesso neppure una vecchia babbuccia spaiata, l'unica altra via per abbandonare quell'ambiente si poneva essere un corridoio aperto in contrapposizione ad essa. Tale passaggio, se l'assurda teoria concessa dalla Figlia di Marr'Mahew fosse stata corretta, avrebbe dovuto inoltrarsi nel cuore della montagna, allontanandoci definitivamente dal mondo a cui appartenevamo per spingerci verso una realtà assolutamente ignota, dalla quale forse non saremmo più potute evadere, riemergendo alla luce del sole a noi caro e dai noi, ormai, tanto lontano.

« Avete, per caso, già provato ad aprire questa porta?! » chiesi, pertanto, nel rivolgermi nuovamente alle mie compagne.

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