11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 30 agosto 2008

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I
mpetuoso come un atto di creazione, violento come uno di distruzione, il nuovo attacco incendiario del tifone vide un nuovo fascio di fiamme eruttare dai suoi polsi per spazzare in ampiezza tutta l’area a lui frontale, per uccidere senza alcuna remora e senza alcuna reale ragione chiunque si fosse spinto al confronto con lui in quella zona di combattimento, gli avversari posti davanti alla sua vista nella forma di un gruppo sparuto di fiere e di una sola, insignificante donna umana. Le carni che entrarono in contatto con quel fuoco si videro ridotte in polvere sul colpo, sbriciolate come un vecchio ceppo di legno secco gettato nel camino ardente: ancora una volta, i felini che, malcapitati, incontrarono l’offesa di quel potere, videro la propria vita interrotta in un istante, probabilmente senza neanche aver la possibilità di soffrire, di rendersi realmente conto di ciò che stava accadendo. E come già era accaduto precedentemente, la sabbia accarezzata da quelle fiamme, nuovamente, si cristallizzò, trasformandosi in una liscia distesa vetrosa, assolutamente perfetta, meravigliosa, quasi in contrasto con l’idea di morte da esse offerte.
Midda, impegnandosi in una folle corsa con tutta la velocità, con tutta la forza, con tutta la resistenza di cui poteva essere capace, di cui poteva richiedere alle proprie membra, cercò distanza fra sé e quel calore assurdo: in esso, in quell’energia tremenda e terrificante, persino il silenzio sulla folla di spettatori venne imposto, lasciando tutti ora attoniti di fronte a quello che, per loro, appariva sicuramente espressione del potere del loro dio Unico. Fortunatamente per la mercenaria lo spazio concessole dall’Arena si proponeva sufficiente a gestire la propria speranza di evasione, ed il calore trasmesso dall’aria fino a lei, per quanto ustionante, non si concesse maggiore di altre situazioni affrontate in tempi recenti, al confronto con il magma puro e mortale con il quale aveva avuto a che fare alcune settimane prima. Il di lei corpo, perfetto come solo la natura lo aveva saputo concepire, ineguagliabile come solo l’esperienza lo aveva forgiato ad essere, vide i propri muscoli muoversi con controllo totale, nonostante l’isteria che sarebbe stata comprensibile in una simile situazione: il respiro ritmico lasciava sollevare ed abbassare i di lei seni mentre il corpo, appena ripiegato in avanti, ondeggiava continuo con i movimenti costanti di gambe e braccia, combattendo contro il risucchio creato dall’ossigeno bruciato dalla fiamma alle di lei spalle e contro il terreno sabbioso, insidioso in un tale contesto.
La tensione di quel momento, in lei, negli spettatori e, forse, anche nel tifone, fecero sembrare eterni quei secondi, laddove l’intera azione non durò in effetti molto, non vide eccessivamente protratto il fuoco offerto dalla creatura, per quanto distruttivo, per quanto incontenibile. E prima di quanto chiunque avrebbe mai testimoniato, le fiamme che ormai si erano sospinte a lambire le vesti della donna e la di lei disordinata chioma corvina, si interruppero, trovarono fine, lasciando solo due contendenti ancora in vita all’interno dell’Arena, in quello spettacolo di morte tanto desiderato da quel popolo guerriero. Quella, pertanto, si offrì quale la prima e l’ultima occasione per la Figlia di Marr’Mahew di condurre il proprio attacco, la propria controffensiva a termine, laddove una terza fiammata avrebbe altrimenti segnato la di lei fine, la conclusione della sua esistenza.

« Thyres… » imprecò.

Ella, conscia di simile situazione, modificò la propria già larga traiettoria per sospingere il proprio corpo verso l’avversario, per dirigersi alla volta del proprio colossale nemico, nell’epica, nella dramma di un confronto diretto degno delle migliori ballate, di leggende destinate a perdurare per generazioni, a diffondersi in ogni terra. Forse chiunque altro, al di lei posto, avrebbe gridato pietà, avrebbe cercato un rifugio, avrebbe addirittura tentato di arrampicarsi sugli spalti e trovare fuga da quel destino crudele: una simile reazione, invero, avrebbe senza dubbio poi previsto la morte di tale individuo, se non per mano della creatura per quella degli stessi gorthesi, privi di pietà di fronte ad una simile mancanza di coraggio, di spirito combattivo. Ma per quanto guerrieri nel più profondo dell’animo, per quanto cresciuti fin da bambini nel votarsi unicamente al sangue ed alla guerra, tutti i presenti non poterono evitare di osservare con ammirazione l’indomito spirito di quella donna, decisa ad affrontare il proprio nemico viso a viso, correndogli incontro senza mostrare alcun timore.
La distanza fra Midda ed il mostro diminuiva sempre di più mentre il tempo, incontrollabile, trascorreva avvicinandola al momento in cui ella avrebbe incontrato nuovamente le fiamme avversarie se solo avesse fallito nel proprio piano. Il tifone, osservando quell’ultima preda, si protrasse in un nuovo lungo ed orrido grido, che vide ancora una volta la sua strana lingua serpentina uscire dalle sue fauci e dirigersi al cielo: non avendo ragioni per temere quell’insignificante essere, non avendo motivazioni per offrire timore alla mercenaria, esso restò immobile, ad attenderne l’arrivo, fremendo per il desiderio di stringerne le carni fra le proprie mani artigliate, di strapparne gli arti uno ad uno spargendoli in maniera raccapricciante attorno a sé.

« Due volte e mezza la posta… » sussurrò la donna, stringendo i denti.

Il momento finale così giunse, l’attimo decisivo si propose di fronte a lei, accogliendola nell’esultanza di una fine non desiderata, di un destino apparentemente segnato: le zampe del mostro, contemporaneamente, si aprirono e si chiusero nella sua direzione, allo scopo di accoglierla, di catturarla, di sottometterla alla propria volontà ed ella, fredda ed imperturbabile come sempre, spiccò un salto, lungo, perfetto, nell’evitare la di lui presa e nel ricadere, altresì, proprio su un disarmonico braccio, su quell’arto destro così grosso, così pesante, che sotto i di lei piedi si propose così come una passerella perfetta, a risalire fino alle spalle, al collo. Esso, comprendendo la propria vulnerabilità in quel frangente, cercò di ribellarsi, tentò di scuotersela di dosso, di colpirla con la mano mancina, ma ella saltò di nuovo, agile e incontenibile, arrivando alla propria meta, giungendo sulla verticale di quel collo taurino, la base di una testa tanto piccola per un corpo tanto grande, roteando la propria lama per porla in verticale, per mirare con la punta verso il basso e lì, con violenza, con forza distruttiva, scendere a conficcarsi nella carne e nelle ossa. La scelta compiuta dalla Figlia di Marr’Mahew aveva pertanto escluso di sfruttare la propria conoscenza in merito alla generazione del fuoco in quell’essere, l’esperienza conquistata nello scontro con il drago, per porre fine alla di lui vita: una simile azione avrebbe infatti posto un prezioso segreto d’arte a disposizione di chiunque, ingenuità che ella, pur sempre mercenaria per professione, non si sarebbe mai potuta concedere, non si sarebbe mai potuta permettere o perdonare. Così, pur rischiando la morte nell’azzardo di uno scontro fisico privo di trucchi, di un’offesa diretta senza particolari strategie a rendere paritario lo scontro, ella era giunta ugualmente al proprio obiettivo, alla propria metà, recidendo di netto la colonna vertebrale della creatura con la propria spada dagli azzurri riflessi, vincendo con la propria lama forgiata nei principi delle acque dei mari la forza impetuosa e distruttiva di quel fuoco delle montagne.
Con un ultimo, tremendo ed insopportabile grido di dolore, di sorpresa, di pena, di tradimento, il tifone rivolse un’invocazione al cielo, quasi stesse pregando il proprio padre divino di perdonarlo per il fallimento raggiunto, di vendicarlo per la morte subita, salvo poi vacillare e ricadere pesantemente a terra, infrangendo rumorosamente le lastre vetrose create davanti a sé. Midda, saltando agilmente all’indietro in un’elegante capriola, raggiunse il suolo come se nulla fosse, come se l’ennesima incredibile impresa compiuta non avesse valore alcuno, rialzandosi dopo il crollo del mostro da terra e ripulendosi poi con calma dalla sabbia prima di dirigersi a recuperare la propria preziosa arma, la propria fedele spada.
Il silenzio più completo permase attorno a lei in quella tranquilla passeggiata, in quel passo appena ancheggiante mosso fino al corpo privo di vita del rettile gigante, nella di lei serena arrampicata sui resti del proprio avversario abbattuto fino all’impugnatura emergente da dietro il di lui collo, dal punto della sua morte. Quel mutismo diffuso, in un misto di incredulità, sconcerto ed ammirazione, la accompagnò nell’estrazione della lama e nella sua successiva pulizia, fino al momento in cui essa non tornò a celarsi nel proprio fodero, a riposare nel proprio giaciglio: solo allora, solo in quell’istante, come se quel riporre l’arma fosse un segnale accordato con tutti, un boato di esultanza si levò corale dall’intera Arena, tale addirittura da sentirsi per tutta la città tanto fu il trasporto offerto dai presenti, l’entusiasmo donato a colei che era stata in grado di difendere davanti ai loro occhi il valore della propria stessa leggenda. La morte del tifone, della creatura di Gorl, il loro dio Unico, stava già venendo considerata parte della storia, per cui a lei mai sarebbe stato offerto rimprovero, mai sarebbe stata richiesta punizione: il Fuoco Eterno, ai loro occhi, in quell’uccisione, era stato più che onorato, più che glorificato, ed il nome di Midda Bontor a lungo sarebbe rimasto nelle loro menti e nei loro cuori quale quello di un profeta guerriero.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Alla fine però il Tifone si è rivelato essere poco più che un armadio semovente e che a tempo sputa fuoco... Gorl poteva anche farlo un po' più agile o robusto, il suo giochetto. O non aveva considerato Midda... ;)

Sean MacMalcom ha detto...

Ammesso ma non concesso che c'entri Gorl in questa creazione! :D
Ricordiamoci le elucubrazioni religiose-metafisiche di Midda prima di affrontare la fenice! :D