11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 31 maggio 2008

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H
eska era sempre stata una ragazza normale: nata in un’isola tranquilla, forse anche troppo serena ed innocente nella sua lontananza dal continente, ella era cresciuta in un ambiente protetto, nel quale aveva maturato idee, convinzioni, principi, sogni. Nessuno avrebbe potuto definirla una sciocca nell’aspirare ad una vita quotidiana placida come le acque di un lago, nel non immaginare di vivere grandiose avventure oltre ogni limite umano, nel non inseguire qualche scopo irraggiungibile, che l’avrebbe potuta trascinare lontana da casa alla ricerca di una completezza impossibile da raggiungere e, soprattutto, non necessaria. Qualcuno, sicuramente, avrebbe potuto pregiudicarla basandosi su assurde illazioni, proponendo i lei progetti come eccessivamente piatti, privi di un reale carattere, inadatti a permetterle di realizzarsi veramente nella propria esistenza, destinandola ad un presente frustrato e ad una vecchiaia colma di infiniti rimorsi e rimpianti per tutto ciò che sarebbe potuto essere e che non era stato. Ma alla figlia di Lafra tutto ciò non era mai interessato: mai ella aveva concesso spazio nella propria mente e nel proprio cuore alle vane parole proposte da menti tanto ottuse, eccessivamente limitate nel loro essere capaci di vedere solo nella sopraffazione, nell’arricchimento, nell’imposizione personale su altri, a qualsiasi livello, una ragione utile per vivere. Nel di lei animo, al contrario, aveva sempre provato grande pena nel confrontarsi con mentalità di quel genere, con persone appartenenti a simili categorie: vedeva in esse dei condannati ad una pena eterna, ad un’invisibile prigione edificata su preconcetti tanto errati quanto dannosi, che avrebbero impedito di poter godere di ciò che gli dei concedevano loro nella propria generosa bontà, che avrebbero negato ogni possibilità di raggiungere il riposo dei giusti. Se, invece di rincorrere continuamente ciò che non possedevano, tutti quegli individui si fossero fermati a contemplare, ad ammirare, tutto quello che già li circondava, quanto era nelle loro vite, sicuramente avrebbero potuto essere più felici, più completi.
Heska era sempre stata una ragazza normale: nei di lei sogni, principi, convinzioni ed idee ella da sempre aveva desiderato solo la possibilità di amare il proprio compagno, costruendo accanto ad egli il proprio futuro nella serenità dell’isola di Konyso’M, la loro isola. Nulla di più e nulla di meno aveva mai pregato di ottenere agli dei: per sé e per Mab’Luk, il sostegno e l’amore di una vita intera, ella aveva immaginato una vita ricca d’amore, di quiete nella loro tranquilla casa, continuando l’arte dei loro genitori, proseguendo nel mantenimento di quelle che erano le loro attività, il loro retaggio. Fatta eccezione per la tremenda tragedia che aveva visto le loro famiglie eternamente segnate dalla prematura e violenta fine delle loro madri e di sua sorella, ella aveva infatti sempre invidiato, positivamente, con tutto il proprio cuore, la pace raggiunta da suo padre Lafra, ed, in tale ammirazione, spesso aveva invocato la grazia delle proprie divinità, la benevolenza di Vehnea e di Thare, la forza di Tyareh e di Marr’Mahew, nella speranza di poter godere di un’esistenza ad egli simile, della fortuna di un destino tanto generoso. Vasta era la stima che provava per egli, per colui dal quale aveva appreso tutto ciò che sapeva, dal quale aveva imparato a vivere come viveva e come avrebbe desiderato sempre vivere: da sempre uomo formidabile, non aveva mai permesso a nulla, soprattutto se futile, di oscurare il proprio orizzonte, affrontando con positività, con speranza, con spirito costruttivo ogni problema, in contrasto al comune agire che ritrovava le persone vittime delle sciocchezze più banali, capaci di ingigantire ogni fatto pur insignificante per trovare ragioni di insoddisfazione, di autocommiserazione, di disprezzo per il prossimo e, peggio, per se stessi. Suo padre non era mai stato così ed, anche posto di fronte all’assassinio di propria moglie e della propria figlia maggiore, egli aveva reagito con coraggio e forza, non concedendosi di distruggersi come sarebbe stato naturale accadesse di fronte a simili eventi ma, anzi, ricevendo da essi uno sprone a vivere con maggior intensità la propria esistenza, nell’amare con assoluta dedizione la figlia minore, sola famiglia rimastagli.
Heska era sempre stata una ragazza normale e proprio per la di lei normalità, per quella di lei splendida semplicità ed immensa bontà, si era ritrovata a crollare ed a veder crollare l’intero universo attorno a sé negli orrori dai quali era stata sommersa, disgrazie che avevano trovato il proprio apice nella figura del padre esposta moribonda ai suoi occhi e costretta ad assistere al suo disonore, alle violenze perpetrate contro di ella. Il volto sanguinante di Lafra era stata l’ultima immagine che la sua mente aveva accettato, prima di spegnersi di colpo, come se la notte si fosse sostituita perennemente al giorno ed ella fosse precipitata in un sonno privo di sogni: in rari sprazzi di coscienza, ella intuiva l’esistenza di un universo attorno a sé, ma immediatamente se ne allontanava con disprezzo, tornando nelle tenebre della propria mente e nell’assenza di una reale ragione utile ad abbandonarle, utile a cercare di salvarsi da quel destino privo di speranza. Impossibile fu per lei, in tale reazione, in tale nuova e disperata fase della propria vita, comprendere quante ore, giorni, mesi, se non addirittura anni, potessero essere trascorsi da momento in cui era incominciato quel suo conscio ed inconscio rifiuto per l’esistenza nel momento in cui si ritrovò ad osservare una lama dagli azzurri riflessi che in lei condusse una strana luce, nuova eppur antica allo stesso tempo. Spezzando con violenza l’oscurità in cui aveva cercato protezione, la luminosità di quella spada sembrò chiamarla a sé, come la promessa di una nuova esistenza o, forse, del ritorno alla sua esistenza, alla sua vita reale, lontana dall’assurdo incubo in cui era precipitata.

Insieme a quell’immagine, un suono, una voce umana si propose verso di ella, cercando di raggiungerla all’interno dell’assordante silenzio che le sue orecchie le concedevano di poter solo sentire: « Heska. »

Una figura femminile, una donna nuda di fronte a lei.
Una persona che impugnava quella lama e la richiamava, la invocava, cercando di trascinarla come un pesce appeso ad un amo fuori da un profondo oceano di sofferenza, di smarrimento, di oblio. Una parte di lei non voleva dare spazio a quella voce, non voleva offrire ascolto a quell’evidente carisma, temendo di poter trovare in ella nuovo dolore, nuovo patimento, nuovo desiderio di morte: un’altra parte di lei, però, spingeva verso quella straniera, verso quell’immagine guerriera, suggerendole un’apparente immotivata fiducia per ella, con l’illusione di una nuova speranza di libertà.

« Heska. » scandì con forza la guerriera, mantenendo alta la propria spada fra loro « Osserva la spada. Guarda la lama che tuo padre creò per te. »

Una lama, una spada posta davanti a sé, davanti ai propri occhi cieci.
Lucida nella propria estensione, le concedeva ricordi lontani che nella sua mente erano stati sepolti, erano stati isolati per proteggerla dal dolore: un dragone nascente dalle acque degli oceani, dalle onde in costante movimento sull’elsa, simbolo dei mari e delle sue divinità, del loro impeto indomabile, della loro forza irrefrenabile. Non era nuova quell’immagine, non era nuova la visone offertale: apparteneva a lei, era parte del proprio passato, del proprio presente, del proprio futuro, di una vita intera dalla quale era fuggita e che, da qualche parte, la stava attendendo. Quella spada era lei, era il suo animo, era il suo corpo, plasmato dalle stesse mani di suo padre nel giorno della propria nascita.
Suo padre, Lafra, fabbro di Konyso’M.

« Heska. »

Le tenebre si infransero a quel nuovo richiamo ed alla consapevolezza che quella lama le concedeva, alla forza che non avrebbe mai potuto rifiutarle. Gli occhi smarriti della giovane ritrovarono la luce perduta, la coscienza prima intrappolata nel patimento del proprio cuore, ed ancor prima che ella si potesse rendere conto dell’intero ambiente a lei circostante, ancor prima che la sua pelle comunicasse alla sua mente la sensazione di freddo e di pericolo presente all’altezza del proprio collo, ella focalizzò un riflesso nella spada davanti a sé. In quell’improvvisato specchio ella vide il proprio nemico, l’aguzzino, lo stupratore, che ancora una volta la stringeva a sé, la obbligava con il proprio abbraccio ad un contatto non voluto, disprezzato, odiato: contro di egli, istintivamente la promessa sposa scattò, liberando tutta la forza, tutta l’energia, tutta la violenza che fino a quel giorno non aveva mai saputo di avere. E la di lei nuca, con rabbia, colpì il viso di lord Sarnico, frantumandone il setto nasale. Nel suono di quella rottura, nel calore del sangue che grondò contro di lei all’impatto, nel gemito che alto si levò nell’aria vedendola sospinta in avanti, libera da quella stretta, ella gioì, con il cuore, con la mente, con l’animo e con il corpo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grandissima!

Bell'episodio :)

Sean MacMalcom ha detto...

Grazie! ^_____________^