11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 9 maggio 2013

1935


Un anno prima di quel momento, di quel terribile temporale sopra la piccola isola di Bael e dell’interrogatorio ai danni di Leas Tresand, l’equipaggio della Jol’Ange, insieme a Midda Bontor, si erano già spinti una volta sino alla capitale dei pirati dei mari del sud, all’isola di Rogautt, lì invitati, per l’occasione, dalla stessa sovrana di tale non riconosciuto regno, per riscattare due loro compagni da lei traditi in cambio di altrettante preziose e potenti reliquie da lei pretese a compenso per quelle vite poste in pericolo, poste in dubbio da colei che aveva già dato riprova di non essere frenata da alcuna inibizione all’idea di pretendere una qualche vita, anche innocente, in sacrificio.
Proprio in tale occasione, in simile già non semplice momento, alla Figlia di Marr’Mahew, sulle cui sole spalle ricadeva il peso della responsabilità della sopravvivenza non solo di quei due ostaggi, ma di tutti i propri compagni di viaggio, era stata rivelata l’esistenza di quel nipote mai conosciuto, di quel figlio mancato. E innanzi a lui, in conseguenza di un’inevitabile, naturale e umana forte carica emotiva derivante da simile, imprevedibile, rivelazione; ella aveva esordito forse non proprio nel migliore dei modi possibili, apparendo, probabilmente, pressoché simile a una pazza, a una folle isterica, e in tutto ciò nulla ricercando al di fuori del sangue della propria gemella, della madre del giovane, qual giusto tributo per tutte le colpe delle quali ella si era macchiata. Difficile, nel confronto con la consapevolezza di tutte le menzogne che Nissa inevitabilmente doveva aver raccontato al proprio primogenito, con le quali doveva averlo cresciuto, sarebbe razionalmente stato, per la mercenaria dagli occhi color ghiaccio, credere in fede di poter avere speranza alcuna di impressionarlo positivamente, soprattutto con una simile introduzione, con una tale presentazione. Purtroppo per lei, in quel particolare contesto, l’ultima risorsa che avrebbe potuto vantare dalla propria sarebbe stata, effettivamente, la razionalità, quella freddezza che pur era diventata, associata al suo stesso nome, un carattere distintivo, un suo straordinario punto di forza… non, per lo meno, entro i confini propri della propria irrinunciabile, e mai rinnegata, umanità.
In conseguenza a ciò, tuttavia, il primo confronto verbale che aveva contraddistinto quell’incontro fra zia e nipote non era stato, esattamente, un buon punto d’inizio. E la Campionessa di Kriarya null’altro aveva potuto fra se non allontanarsi, psicologicamente ed emotivamente sconfitta, da quella scena, da quello scontro, augurando al giovane di poterlo rincontrare il giorno in cui il castello di menzogne eretto dalla gemella, così come ella lo aveva definito, sarebbe crollato, ed egli l’avrebbe ricercata non per sfidarla ma per richiamarla, accanto a sé, qual alleata, la sola alleata che mai lo avrebbe tradito.
Trascorso un intero ciclo di stagioni, nel corso delle quali non poche altre disavventure avevano contraddistinto la vita della donna guerriero, in quella che ella aveva voluto ricercare qual un’occasione utile a chiudere una serie di questioni in sospeso, a sfoltire il numero di avversari che aveva lasciato in vita alle proprie spalle, primo fra tutti un semidivino sposo dall’aspetto demoniaco, Desmair, seguito a ruota da un mistico e non di meno immortale uccello di fuoco, la fenice; con gli stessi protagonisti del precedente viaggio, gli uomini e le donne della Jol’Ange, nonché altri membri di una stretta schiera di collaboratori e amici, per lei oggettivamente divenuti tutta la famiglia di cui avrebbe potuto vantare bisogno, e, ancora, il proprio attuale compagno di vita e di letto, Midda Bontor era tornata a riunirsi per far nuovamente rotta verso quell’isola maledetta, verso Rogautt, con l’esplicito intento, in tale nuova occasione, non tanto di salvare una vita, quanto, e piuttosto, di pretenderne il più possibile, a iniziare da quella della propria gemella, per proseguire con quelle di chiunque si sarebbe loro frapposto innanzi in tale obiettivo. Una missione, quella che aveva voluto così abbracciare qual propria, allora motivata non soltanto da un proposito di vendetta, qual pur non avrebbe veduto alcuno rivolgerle critica o giudizio negativo, nel poter ella vantare sufficienti ragioni in tal senso; ma soprattutto da un’investitura superiore, un mandato volto a estirpare il seme della distruzione che si era annidato, anche per sua responsabilità, e non metaforicamente, nel cuore della propria un tempo tanto amata sorella, e nel permettere al quale di crescere forte e rigoglioso, per quanto le era stato concesso di sapere avrebbe sicuramente condotto alla fine dei tempi.
Proprio nel mentre di simile tragitto, nel corso di tale viaggio, il cammino del gruppo della Jol’Ange e quello del giovane erede del primo, storico e amato capitano di quella stessa goletta, il cui ricordo era ancora presente con ammirazione nel cuore di tutti coloro che avevano avuto occasione di conoscerlo personalmente, si era incrociato, volgendo apparentemente a sfavore del secondo e vedendolo posto, in tutto ciò, in catene, qual necessaria, forse inevitabile, misura precauzionale utile a ovviare non tanto all’eventualità di una sua fuga, quanto a quella di un qualche complotto da parte sua. Un complotto la possibilità del quale, proprio malgrado, Midda Bontor non avrebbe potuto stolidamente, superficialmente ignorare, accettando senza il benché minimo giudizio critico qualunque sua dichiarazione, fosse anche, come allora avvenne, apparentemente supportata dalle più calde, e strazianti, lacrime egli sarebbe mai stato in grado di offrirle. Così, benché ella null’altro avrebbe desiderato che credergli, che credere a un sì repentino ravvedimento da parte di colui che avrebbe voluto considerare qual figlio proprio, anche ove il suo ventre non aveva mai conosciuto gravidanza, soltanto prudenza avrebbe dovuto invocare qual propria, non potendosi permettere di trascurare il pericolo rappresentato da un’arma tanto potente, tanto efficace, qual quella di un giovane contraddistinto da un volto per lei tanto carico di emozioni, a cui soltanto affetto avrebbe potuto rivolgere in maniera spontanea, naturale.
Escludere la possibilità che, dietro a tutto quello, null’altro avesse a intendersi che una trappola ordita dalla propria gemella, sarebbe stata, da parte sua, solo dimostrazione di due spiacevoli evidenze: una sgradevole e totale assenza di raziocinio da parte sua e, ancor più, un’assolutamente indubbia legittimazione della vittoria della sorella su di lei, tanto palesemente indegna di ambire, anche solo e semplicemente, alla vittoria in un confronto diretto con lei. Perché, al di là di qualunque più o meno indubbia eccellenza tecnica nell’arte della guerra da parte dell’una piuttosto che dell’altra, quanto, alfine, nel loro duello conclusivo, avrebbe avuto fra loro valore, non sarebbe stato null’altro che il loro intelletto e, soprattutto, la loro capacità di mantenersi obiettive nelle proprie valutazioni, non concedendosi di intravedere, nella controparte, la stessa infante un tempo propria amica, complice e confidente, quanto e soltanto la propria antagonista, colei che da anni, lustri addirittura se non decenni, si stava impegnando a rovinarle la vita.
Solo per questa ragione, e per null’altro, ella arrivò a negarsi l’idea di correre ad abbracciare quel ragazzo, invocando a sua volta da lui una qualche occasione di perdono per tutte le proprie colpe, ultima fra le quali quella di averlo voluto ridurre in catena e porre ai ceppi. Scuse, le sue, che, dopotutto, sarebbero potute sempre arrivare, anche all’ultimo momento, quando alfine ogni dubbio sarebbe stato risolto e l’effettiva bontà di quelle intenzioni si sarebbe dimostrata nei fatti, ancor prima che nelle parole o in poche lacrime potenzialmente artefatte.

« Ragazzo mio… » riprese voce, impegnando tutti i propri sforzi non tanto nella volontà di mistificare il proprio coinvolgimento emotivo a quella vista, a quel pianto, quanto e addirittura nella volontà di escludere tale coinvolgimento, simili emozioni, ove per lei soltanto e potenzialmente lesive « Ho veduto cadere innanzi ai miei occhi il corpo esanime di tuo padre, colpito a tradimento, nel centro della schiena, da un pirata di tua madre, che per anni aveva servito a bordo della sua goletta qual fedele amico, reciprocamente uniti da un legame ipoteticamente più forte del sangue. » esplicitò, storcendo le labbra verso il basso, a evidenziare le ragioni della propria rabbia dietro a tutto ciò.
« Ho dovuto affrontare lo spirito di una mia carissima amica, quasi una sorella, per difendere la quale addirittura mi ero spinta a sposare un orrido ed empio semidio, dopo che ella era stata assassinata da tua madre, a lei presentatasi con il mio volto e il mio nome al solo scopo di ucciderne il marito, mio mecenate. » insistette, a non voler, in alcun modo, concedere occasione di giustificazione alle azioni di Nissa « Ho assistito all’amputazione del mio braccio destro per colpa di tua madre. E, ancor peggio, sono stata privata della possibilità di procreare per sua mano… per mano di colei che, subito dopo, ha giaciuto con tuo padre soltanto per metterti al mondo e ottenere ciò che a me aveva tanto crudelmente, e consciamente, negato di poter avere. » dichiarò, condividendo ad alta voce, con lui, quanto neppure con lo stesso Salge Tresand aveva avuto mai il coraggio di asserire, nella vergogna per la menomazione subita « Credi veramente che qualche parola di scusa e un bel pianto possano essere in grado di convincermi a fidarmi di chi è stato cresciuto, sin dal giorno del proprio concepimento, dalla mia gemella al solo scopo di odiarmi e torturarmi in ciò…?! »


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