11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 26 maggio 2013

1952


Per tutta la durata di quella tempesta, e dell’attacco all’isola di Bael da parte degli ippocampi, solo due fra tutti gli ospiti lì sopraggiunti a bordo della Jol’Ange ebbero l’opportunità di riposare, e di riposare così profondamente tanto da non maturare la benché minima coscienza degli eventi per così come si svolsero attorno a loro. E, fra tutti, a sottrarsi pur inconsapevolmente alla pugna, i colpevoli di tale ignavia, di un comportamento tanto involontariamente disinteressato al bene comune, non furono i due elementi più giovani, Seem, scudiero della Campionessa di Kriarya, o Ifra, mozzo della goletta; dal momento in cui, per quanto non venne concessa loro l’opportunità di raggiungere il gruppo principale, ostacolati in tal senso dal muro di zanne e artigli eretto attorno a loro dalle creature sopraggiunte dal mare in tempesta, entrambi ebbero egualmente ragione di che lottare, e lottare strenuamente, l’uno al fianco dell’altro, così come, non di meno, e pur privo di alcun sostegno, combatté anche Be’Sihl, pur semplice locandiere, difendendo con tutte le proprie energie non tanto il proprio diritto a esistere, quanto e ancor più il futuro della famiglia che lo aveva accolto, seppur estraneo e straniero.
No. Coloro che, in quelle ore, nel corso di quel massacro, si riservarono serena possibilità di godere di un sonno invidiabilmente intenso, in misura tale da non essere in alcuna misura, non soltanto non posti in allarme, ma neppure, e superficialmente, posti in agitazione, furono grottescamente due professionisti della guerra al pari della stessa Figlia di Marr’Mahew, due avventurieri che, con quel particolare genere di situazioni, avrebbero dovuto dimostrare non soltanto trasparente familiarità, ma, ancor più, un approccio a dir poco entusiasta, qual oggettivamente entusiasta era inizialmente anche stata la stessa mercenaria, nell’accogliere la prospettiva di una nuova occasione per porsi alla prova, per dimostrare la propria forza e la propria abilità, in contrasto a tutto e a tutti. Purtroppo per loro, però, né Howe, né Be’Wahr, fratelli di vita fra loro legati più intensamente di quanto mai non avrebbero potuto esserlo qual fratelli di sangue, e amici, compagni d’arme e complici di misfatti della mercenaria dagli occhi color ghiaccio da ormai tanto tempo da poter essere riconosciuto loro già indubbio merito soltanto per simile, straordinaria conquista; poterono prendere parte agli eventi di quelle ore, ritrovando un qualche contatto con la realtà a loro circostante soltanto quando il temporale si acquietò e un timido raggio di sole si spinse a solleticare le narici del vigoroso biondo, da lui invocando uno starnuto e, con esso, il risveglio.

« Etciù… » esclamò Be’Wahr, ritrovandosi costretto, seppur ancora addormentato, a riaprire per un istante gli occhi e, in ciò, a confrontarsi in maniera diretta con la luce di un nuovo giorno, per così come proveniente da un sole alto nel cielo, al proprio zenit.
« Oh! » replicò Howe, il quale, a dispetto del proprio nome e del nome del fratello, fra i due avrebbe dovuto essere riconosciuto qual colui di sangue shar’tiagho, così come dimostrato dal colore bronzeo della pelle, dai piedi tradizionalmente scalzi e, soprattutto, da una fitta cascata di piccole trecce scure, nelle quali i suoi capelli si ponevano da sempre acconciati « Chi va là?! » soggiunse, non più sveglio di quanto non avrebbe potuto dirsi il fratello in quel momento, e pur posto tanto in allarme da quel semplice starnuto da aver guadagnato repentinamente una postura di guardia, impugnando, seppur ancora seduto a terra, la propria spada dorata, pronto a offrire battaglia a qualunque genere di minaccia.
« … che succede? » sobbalzò, a quelle parole, il primo, rimettendosi a sua volta a sedere in maniera contraddistinta, proprio malgrado, dall’assenza di una qualche concreta armonia di movimenti, ma, ciò non di meno, egualmente efficace rispetto alla reazione dell’amico, nel dimostrarsi lì già in possesso di quella sorta di strano coltellaccio con il quale egli era solito accompagnarsi, chiamandolo “spada”.
« Che succede…?! » ripeté l’altro, osservando lo spazio attorno a sé con fare guardingo e, ancora vittima dell’intorpidimento caratteristico del sonno, maledicendo in cuor suo Nissa Bontor, per colpa della quale aveva perduto il proprio mancino, allora sostituito da un inerme protesi dorata con la quale, tuttavia, non avrebbe potuto strofinarsi fugacemente il viso così come avrebbe gradito poter fare, per allontanare da sé il peso di quella sin troppo lunga notte, che pur, oggettivamente, avrebbe protratto ancora un poco in assenza di quel brusco richiamo alla realtà « Se stato tu a dare l’allarme… non io! » protestò, lasciandosi per un istante nuovamente sdraiare là dove aveva riposato sino a quel momento, salvo poi immediatamente sollevarsi in piedi, in posizione eretta, con un deciso colpo di reni.
« Ma io ho solo starnutito… » commentò il biondo, sbuffando in attesa dell’immancabile beffa che il fratello gli avrebbe dedicato, e rinfoderando la propria arma, all’evidenza dell’assenza di qualunque reale condizione di pericolo « Avanti… dai libero sfogo alla tua fantasia, insultami come devi e finiamola nel minor tempo possibile… così da poter iniziare la giornata tranquilli! » lo spronò, deciso a non ipotizzare neppur lontanamente di ribellarsi a tale sentenza, avendo ormai imparato quanto, proprio malgrado, non avrebbe mai potuto sottrarsi alle provocazioni del fratello, non senza, in ciò, offrirgli ulteriore ragione di scherno a proprio discapito.

Tuttavia, e a dispetto di ogni aspettativa, Howe non offrì l’evidenza di voler rivolgere particolare voce nel merito di tale questione né, in effetti, di qualunque altra questione, nell’essere rimasto stranamente bloccato in contemplazione di qualcosa al di fuori della finestra oltre la quale aveva sospinto il suo sguardo. Un blocco che, seppur in un primo istante trascurabile, e trascurato, da parte dello stesso Be’Wahr, in un secondo momento non poté che risaltare insolito e sospetto, nel risultare, egli, non semplicemente distratto dall’immagine lì riservatagli, e all’altro non ancora visibile, quanto e piuttosto addirittura pietrificato nel confronto con la medesima e, forse e ancor più, con la sorpresa lì impostagli qual propria.
E se rare, rarissime erano state, nel corso della loro vita, le occasioni nelle quali lo shar’tiagho aveva trascurato la possibilità di incalzare in pur giocosa offensiva del fratello; quel silenzio, quell’indifferenza innanzi alla prospettiva di una fin troppo semplice opportunità di beffa, non poté che lasciare il biondo sinceramente inquieto, nel timore di quanto, effettivamente, potesse starli attendendo là fuori…

« Così mi stai spaventando, fratellone… » commentò questi, incerto fra restare seduto a terra, e lontano da qualunque possibilità di cogliere quanto presente al di fuori di quella finestra dalla forma irregolare, simile a un cerchio così come l’avrebbe disegnato un infante, oppure levarsi a propria volta in piedi, e maturare coscienza su quanto, là fuori, avrebbe potuto attenderlo, proprio malgrado consapevole di non potersi sottrarre per sempre a qualunque prova avrebbe potuto essere loro lì riservata « Che diamine ci sta aspettando, per Lohr…?! » tentò di insistere, nella speranza di riuscire a scuotere l’interlocutore dallo stato di apatia nel quale sembrava essere caduto, nel mentre in cui, deglutendo, scelse di iniziare a contrarre i muscoli della parte inferiore del proprio corpo per sollevarsi da terra.
« Domanda sbagliata, fratellino… domanda sbagliata. » sussurrò il mercenario di origine shar’tiagha, nell’offrire riprova di aver perfettamente udito le parole a lui allora rivolte e, prima di quel momento, di non aver avuto interesse alcuno a replicare, di non aver avuto ragione alcuna per offrirgli risposta, quasi, in quel frangente, non potesse considerarsi meritata.
« … in che senso “domanda sbagliata”?! » tentò di obiettare Be’Wahr, alfine levandosi da terra e muovendo un paio di passi per coprire la distanza esistente fra sé e l’interlocutore, rimbalzando con lo sguardo fra la nuca di questi e la finestra, ancora incerto sul voler realmente spingere lo sguardo oltre la stessa a cogliere quell’orrido spettacolo che tanto aveva interdetto il compagno, costringendolo a pronunciare, addirittura, frasi apparentemente prive di significato, così come solamente quella ebbe ragione di risuonare alla sua attenzione, alle sue orecchie.
« Nell’unico senso possibile… » insistette Howe, alfine voltandosi verso il fratello e facendo cenno, con gli occhi, a guardare oltre la finestra per riuscire a comprendere meglio, per riuscire ad apprezzare il perché della correzione che allora ebbe a muovergli « Non è tanto ciò che ci sta aspettando… ma ciò che ci siamo persi! »


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